mercoledì 23 febbraio 2011

tra le macerie dell'America odierna...

Stabilimenti dismessi che si trasformano in sinistri casermoni saturi di ferraglia arrugginita, un'economia dai trascorsi floridi che crolla rovinosamente facendo ripiombare nel più cupo anonimato la provincia in cui essa si era sviluppata. E attorno l'inesorabile crogiolo di umanità in declino: persone che razzolano tra i debiti cercando di non soccombere, affogando le proprie ambizioni in mezzo a piccole battaglie quotidiane da cui si esce sempre e comunque sconfitti e bastonati: impossibile non pensare alle proletarie vicende intrecciate che costituivano il fulcro di Acciaio, bel titolo evocativo che ha portato a battesimo Silvia Avallone in un'opera assai dibattuta - ma quaggiù passiamo il giro, ché la Silvia l'abbiamo giudicata al Premio Città di Milano - e invece stiamo parlando di Ruggine Americana, strepitoso romanzo targato Philipp Meyer, nominato miglior libro del 2009 dal New York Times, dal Los Angeles Times e dall'Economist ed inserito da Newsweek nella lista dei Best Books Ever. Da noi è il valente critico Sergio Pent, sulle pagine de La Stampa, ad averne implorato la lettura. Ed è sinceramente difficile sottrarsi a tanto fervore critico, poiché il lavoro d'esordio di questo scrittore quarantenne è una perla che si merita tutto il plauso mietuto in giro per il mondo. Col respiro epico della grande letteratura d'oltreoceano, Meyer costruisce infatti un solido romanzo a più voci capace di raccontare la crisi mondiale di questi anni e la caduta dell'Impero Economico a stelle e strisce attraverso le microstorie di un gruppo di "nuovi poveri" in un paesino della Pennsylvania.
Il libro, rivestito solo in apparenza da una patina noir che si rivela ben presto strumentale, è costituito di numerosi brevi capitoli, ciascuno corrispondente alla prospettiva di uno dei protagonisti: Isaac, suo padre Henry e sua sorella Lee, Billy, sua madre Grace, il poliziotto Bud Harris. Un omicidio occasionale riporta a galla antichi rancori e sopite frustrazioni, e nel destino amaro che ricopre la minuta cittadina teatro degli avvenimenti scopriamo tutta la mestizia del Grande Sogno Americano soffocato nella melma della globalizzazione selvaggia. Niente di nuovo rispetto a quanto già magistralmente illustrato da Steinbeck e confratelli, in fondo, ma qui è l'uso di una lingua nuova a colpire, e il sapiente utilizzo di una struttura in grado di affondare senza trionfalismi nella psicologia dei personaggi rendendoceli vivi, plausibili, e, in soldoni, simili a noi.
Bello e disperato come tanta roba buona proveniente da quei lidi:
«Vide un accampamento di vagabondi nel bosco lungo i binari e guardò se si vedevano fuochi. Il ragazzo se la caverà, pensò. Re dei serpenti e principe dei vagabondi. Guardò una luce guizzare nel cielo, in alto sopra la sua testa. Un satellite. Compagno dei mercanti arabi e degli astronauti. Tutti girovaghi.»

Ruggine Americana - Philipp Meyer (Ed. Einaudi)

18 commenti:

Re Ratto ha detto...

Non lo conoscevo, grazie della dritta!

sartoris ha detto...

Ratto, poi fammi sapere che ne pensi, io l'ho adorato :-)

Anonimo ha detto...

Le tue recensioni sono sempre molto interessanti e soprattutto tratti di libri a volte (purtroppo) poco conosciuti , come questo Ruggine Americana, romanzo davvero notevole
Ho iniziato l'ultimo romanzo della Oates, che so apprezzi molto....
Valter

sartoris ha detto...

@Valter, a parte Cormac McCarthy e poca altra gente del suo calibro, penso che si possa considerare la Oates tra le migliori penne degli ultimi decenni!!!!

grazie di essere passato... :-)

Annalisa ha detto...

Ah, bene, avevo fatto un fioretto, per questo mese, ma a questo non ho resistito. Lo attendo per lunedì :-)

sartoris ha detto...

Annalisa: presto ti toccherà imbastire un settore della tua libreria con su la scritta "consigliati da Omar Di Monopoli" :-))

Annalisa ha detto...

Già fatto ;-)

Anonimo ha detto...

Una costruzione corale, che mette ancora più in evidenza la solitudine disarmante che pervade la storia. C’è un filo di speranza, alla fine? Forse sì.

*Vide un accampamento di vagabondi nel bosco lungo i binari e guardò se si vedevano fuochi....*

Bello.

sartoris ha detto...

@Anonimo, peccato se ne sia parlato così poco, in giro...

Annalisa ha detto...

Sto leggendo.
Bello, bello.
Grazie.

(e, per carità, niente accostamenti con "Acciaio")

sartoris ha detto...

@Annalisa: grazie a te. Non avevo dubbi ti sarebbe piaciuto (tanti onori in patria avranno un senso, no?:-)

Su Acciaio non mi pronuncio. Gli ho dato un voto per il Premio Città di Milano e quindi penso sia giusto resti segreto:-))

GiOrGiO ha detto...

Da qualche giorno non atterravo sul tuo blog. Da quando ho cominicato 'Ruggine Americana'. Giusto qualche giorno. Non volevo distrazioni. Il libro mi ha risucchiato. Notevole davvero. Un pelo sotto 'Uomini e cani'...

sartoris ha detto...

@GiOrGiO: eh eh , troppo buono!

(grazie per essere ripassato a dirmelo!)

Re Ratto ha detto...

Tempo fa ti ringraziai per avermelo segnalato.
Ora ti ringrazio nuovamente, stavolta per avermelo fatto leggere: una storia e dei personaggi che non dimenticherò tanto facilmente.
Ciao!

sartoris ha detto...

@Ratto: lieto di averti fatto conoscere un grande libro! (si batte un po' la fiacca sul tuo blog, ultimamente eh? Vabe', dopo le ferie estive sarà opportuno ricominciare con le rat-recensioni, ché servono sempre:-)

Re Ratto ha detto...

Eh, più che battere la fiacca sono indeciso se chiudere proprio il blog o tentare di resuscitarlo.
Ultimamente sono mancati sia il tempo sia, soprattutto, la voglia di tenerlo aggiornato.

Anonimo ha detto...

Un veloce passaggio per dire che l'anonimo del 25 febbraio ero io:))
Gran libro , davvero.
Saluti a tutti.

silvia

sartoris ha detto...

@Ratto: ti capisco perfettamente, qualche volta anch'io ho queste cadute di entusiasmo... (tiremm'a nanz')

@Silvia: non avevo dubbi :-)
(forse è stato il tuo primo passaggio da queste parti, se non erro!)