Al titolare del blog è venuto il magone pensando alle flotte di spettatori nostrani rincitrulliti dai vari Grande Bordello e compagnia sonante che, dinanzi al ritmo d'un film come Winter's bone, probabilmente si metterebbero a intonare lamentazioni sul genere: «ma è troppo lento!», «non succede mai niente!» e altre idiozie della medesima trafila. Invece il lungometraggio di Debra Granik, appena premiato al Tff dopo aver fatto sfracelli al Sundance Film (e già la candidatura all'Oscar è in agguato) è un cazzo di film ma-iu-sco-lo!
Tratto dal bellissimo romanzo di uno scrittore che ha dato tanto alla causa southern, Daniel Woodrell (da noi lo pubblica Fanucci), Winter's bone mette magnificamente in scena una fiaba poetica e cupissima ambientata nella peggiore white-trash del Missouri, un popolo di rednecks che sbarca il lunario smerciando crack asserragliato in bellicosi clan familiari in mezzo agli antichi boschi di Ozark, una terra che racchiude in sé molte delle contraddizioni della (ex) Potenza Mondiale - né Sud, né Nord, il Missouri vive da sempre una profonda, sanguinaria lacerazione interna: è la regione in cui spadroneggiarono i ribelli dopo la Guerra di Secessione e che non a caso diede i natali a figure mitiche e ribalde come Jesse James e Bloody Bill Anderson. «Sono una purosangue, una Dolly fatta e finita!», ribadisce spesso Ree, la diciassettenne protagonista della storia splendidamente interpretata da Jennifer Lawrence (volto angelico, sguardo puntuto e intelligente) che s'impunta a indagare sul padre scomparso nella valle omertosa: e da questa affermazione si può capire quanto tosto sia il personaggio e quanto la trama riesca, con pochi agili step, a definire un dramma d'impianto classico che pesca a piene mani dal genere statunitense d'elezione: il western. Come in un film western, infatti, Ree dovrà affrontare i bifolchi che (forse) gli hanno ucciso il genitore per capire che fine ha fatto questi, un raffinatore di anfetamine di mezza tacca che prima di sparire ha impegnato la casa in cui lei si prende cura - con abnegazione degna d'una mamma-orsa - dei due fratellini e della madre catatonica. A popolare il mondo in cui è cresciuta - una distesa di stamberghe ricoperte di carcasse d'auto e vecchi frigoriferi ruggi- nosi, lividamente fotografati come scenario di una apocalisse in perenne corso - ci sono una manciata di facce che valgono da sole il prezzo del biglietto: una spanna sopra tutti John Hawkes, lo zio spacciatore, variazione degenerata e cruda della stessa Ree e personaggio perfetto per una trama che comincia con sulfurei barlumi di speranza e poi riesce a infondere (quasi a tradimento) quel tanto di luce pulsante che basta ad alcuni personaggi per renderli umani e vivissimi. Winter’s bone (che piacere che sia girato da una donna, vero Cinzia Th Torrini?) ha le sembianze di un thriller dark, ma è in realtà una solida tragedia western dai toni asciutti e crepuscolari, una storia punteggiata da sceriffi, avversità, fazioni contrapposte, confini da varcare e montanari violenti. Un'elegante, fascinosa e struggente discesa negli inferi dell'America meno scontata.
4 commenti:
Appena esce al Blockbuster, sempre che sopravviviamo all'inverno, me lo becco! Do Woodrell devo decidermi a prendere in mano il suo ultimo Io e Glenda...
Pegasus, consiglio tutto di Woodrell, e questo film secondo me si becca l'Oscar!!!!!
Film che gia mi attirava e che la tua bella recensione mi fa venire ancor più voglia di andare a vedere.
Mi consigli di veder prima il film,o di leggere il libro?
@frank77, a me è capitato di leggere prima il libro perché sono un fanatico di Woodrell, però non credo francamente che scambiando l'ordine degli addendi cambi gran che, quando una cosa è bella è bella! Quindi, buona visione e buona lettura (poi facci sapere:-)
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