sabato 8 maggio 2010

Giganti pelosi e scalcagnati...

Vampirizzando il successo del King Kong prodotto da De Laurentiis nel 1976, l'anno a seguire Gianfranco Parolini - regista dal background di tutto rispetto (per lo più western, tra i quali Se incontri Sartana prega la tua morte e Ehi amico... C'è Sabata, hai chiuso!) - partorisce questa perla del trash nostrano, Yeti, il gigante del XX° secolo, sorta di anti-colossal fantascientifico dalle grandiose pretese (realizzato però col budget di una commedia sexy del periodo) in cui si assiste ai più disarmanti trucchi di messa in scena: elicotteri giocattolo, tremebondi blue-back, una colonna sonora invasiva e pomposa ai limiti della decenza (e i The Yetians eseguono pure "Yeti" e "Funky Disco Sound") e infine un risibile make-up dell'attore(?) Mimmo Crao, imparruccato in maniera improbabile (sembra uno dei Cugini di Campagna) e visibilmente a disagio nel ruolo.
Il film parte col ritrovamento dell'Abominevole Uomo delle Nevi fra i ghiacciai della Groenlandia (ma non era di casa sui monti dell’Himalaya?). Alto più di dieci metri, il gigante somiglia a un Neanderthal che ha litigato col barbiere e per richiamarlo in vita viene sollevato ad alta quota con un elicottero e sottoposto quindi all’elettroshock. Il primo impatto con la folla dei curiosi promette scintille: Yeti si libera dalla gabbia d'acciaio (una specie di cabina telefonica) da cui è costretto e comincia a scalmanarsi. La gente svicola all’indietro, lo sguardo trasudante terrore; ma Yeti fa in quattro e quattr'otto amicizia con un cane, un fanciullo muto e la sua cuginetta carina. Come osserva l'acuto criptozoologo là presente «forse al mostro ricorda la sua famiglia scomparsa molti milioni di anni fa!». Insomma il mostro si rivela un povero cristo cui è toccata la sfortuna di risorgere - ahilui! - in un mondo dominato dal più bieco capitalismo, dove un magnate senza scrupoli tenta di sfruttarlo come richiamo pubblicitario (figuriamoci se la comunità scientifica potrebbe interessarsi mai a un ritrovamento di questo genere!). Benché non abbia torto un capello a nessuno la creatura provoca il panico per le vie di Toronto - rivelandosi comunque più dritto del gorillone di Guillermin: anziché cascare dal grattacielo, ne discende usando le finestre come gradini. Sbaragliata la banda di spietatissimi gangster che gli stava alle costole (delirante!), Yeti sembra nel finale propenso ad accettare il suggerimento della Lolita di cui è invaghito: «Devi tornare lassù sull’Himalaya, dove il mondo è infinitamente migliore», ma lo spettatore non saprà mai come ci arriverà e soprattutto se il mostro si farà ricongelare oppure passerà il tempo seduto tra i ghiacciai.
Parolini, che si firma Kramer (molto international-style), non possiede i mezzi né gli attori (né la tecnica, dannazione!) per girare un film anche lontanamente valido e Yeti il gigante del XX° secolo, mancando di quella che i redattori della rivista Nocturno chiamano «consapevolezza cheapo», finisce per risultare involontariamente ridicolo soprattutto nelle scene che dovrebbero costruire tensione e che invece sono didascaliche (oltre che di una noia letale). Il film si trova interamente sul tubo: qui la scena davvero incredibile del capezzolo gigante. Pura immondizia, signori!

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