giovedì 15 gennaio 2015

altri 10 southern-movies che non puoi perderti...

poiché con tutta evidenza dieci-dicasi-dieci titoli di opere cinematografiche sono effettivamente pochini per approfondire un argomento così sfaccettato e quintessenziale come il southern-gothic, abbiamo pensato di proporne altrettanti in questo nuovo, rutilante «Listone» che è da considerare, a tutti gli effetti, una propaggine aggiuntiva a quella prima sequela di classici del genere. (sia chiaro, presto o tardi vi toccherà anche un elenco esclusivamente letterario, e pure lì ci sarà da divertirsi, poiché a fronte dei due o tre maestri conclamati esiste una ragnatela assai composita e articolata di ottimi e talentuosi epigoni che hanno dato tanto alla causa del gotico sudista :-) si vada ora a incominciar...

Baby Doll - La bambola viva (Elia Kazan, 1956)
Film che all'epoca perturbò parecchio gli animi, si deve all'atto unico del solito, immenso Tennessee Williams, 27 vagoni di cotone, dal quale il regista preleva di peso i dialoghi e le ambientazioni ma ne ritocca in parte i personaggi principali operando manipolazioni evidenti soprattutto sulla figura femminile. La pellicola narra la storia di un matrimonio fra un quarantenne (il nasuto Karl Malden) e una sedicenne (Carol Bakerr bella e platinata) in una cittadina del profondo Mississippi. Il marito della giovane dirige un cotonificio sull'orlo del fallimento ma soprattutto entra in conflitto con il proprietario di una azienda limitrofa che gli insidia la moglie (un già carismatico Eli Wallach). Tenterà di vendicarsi, ma ne pagherà dolorosamente il fio.
Film intelligente e inconsueto, seppe far parlare di sé per le situazioni piccanti (erano anni in cui la sola idea di un rapporto adulterino, per di più con una moglie-bambina, faceva decisamente scandalo!) e rappresenta una raffinata incursione nel territorio del grottesco da parte del regista di Fronte del Porto. Probabilmente il film eroticamente più spinto mai distribuito negli USA fino a quell'anno, fece guadagnare una delle quattro nomination agli Oscar alla fresca protagonista (un'altra andò invece alla splendida fotografia in bianconero del grande Boris Kaufman). Atmosfere decadenti da vecchio sud, putridume morale sornionamente diffuso: c'è la villa squallida e pencolante dalla nobile facciata dove una volta regnava un'aristocrazia ormai sepolta, e c'è il clima torrido, allentato e carico di fortori di quella parte di America; i negri accoccolati, la serva epicamente svanita. Bellissimo. VOTO 9

La via del tabacco (John Ford, 1941)
Tratta dal sublime, sporchissimo e tagliente romanzo di Erskine Caldwell, tra i padri del genere, è uno dei meno noti lungometraggi del maestro del western - anche perché in Italia il film uscì con otto anni di ritardo (e con tagli per 14 minuti da parte dalla "censura democristiana" del 1949) a causa del profumo di lascivia di cui sono intrise numerose scene.
Ford, nel raccontare la storia dei discendenti di una famiglia disagiata che ha sperperato tutti i propri averi e quindi vive ora nell'apatia senza alcuno scrupolo morale, punta su una linea di idillio figurativo che sovente attinge alla commedia, passando con abilità dalla malinconia all'umorismo aguzzo, dalla satira alla tenerezza. Splendido bianco e nero di Arthur C. Miller. Consueta sinfonia per il grande schermo opera di un inarrivabile genio del cinema. VOTO 10

Piano... piano, dolce Carlotta (Robert Aldrich, 1964)
Concepito inizialmente come seguito del riuscitissimo Che fine ha fatto Baby Jane? (Whatever Happened to Baby Jane, 1962), con le due stesse protagoniste, Bette Davis e Joan Crawford. Ma quando quest'ultima s'ammalò gravemente di polmonite venne scritturata Olivia de Havilland e la sceneggiatura divenne qualcos'altro, persino migliore del capostipite: una vecchia casa della Louisiana piena di ombre, un'anziana e rancorosa zitella preda degli incubi (si sospetta abbia barbaramente ucciso un suo antico amante: se questo non puzza di Faulkner lontano un miglio!), due ospiti che tentano di farla impazzire inscenando trucchi spaventevoli e una vecchia e infida governante sono gli ingredienti di una vicenda che incatena alla sedia lo spettatore e offre alla divina Davis l'ennesima, sfolgorante prova d'attrice. Anche qui quattro nomination dall'Academy, una delle quali per la fotografia di Joe Biroc. Il soggetto è di Henry Farrell, autore del romanzo che è all'origine del citato Baby Jane; storia gotica e intinta in una strana misoginia che molto deve a Les DiaboliquesVOTO 9

La lunga estate calda (Martin Ritt, 1958)
Nella corposa sequela di ribelli dalla faccia da schiaffi impersonati dal grande Paul Newman (la terra gli sia lieve!) si merita sicuramente un posto di rilievo il personaggio di Ben, vagabondo piantagrane de La lunga estate calda. La fama di piromane segue questo personaggio anche quando - messa da parte temporaneamente la sua esistenza raminga - decide di mettersi a lavorare per conto di Willy Varner, dispotico padrone di ogni cosa: delle terre, degli uomini, delle bestie e anche della sua famiglia (i figli Clara e Jody, quest'ultimo un ragazzo ingenuo ed emotivamente instabile) che tiene a comando con rigore spartano. Tra Ben e Willy si stabilisce una sorta di simbiosi che è al tempo stesso composta di reciproca ammirazione, sudditanza malsopportata e sfida aperta: come due capibranco si annusano e si rispettano ma la tensione tra i due è palpabile. Un giorno Jody, invidioso, perde la testa, chiude in una stalla papà Willy e appicca il fuoco.
Tratto da La carne di William Faulkner il regista Martin Ritt (che con l'attore aveva già fatto Hud il selvaggio) realizza un film torbido e passionale affidandosi, oltre che alla maschia presenza di Newman, a grandi interpreti come Joanne Woodward (che su questo set s'innamorò degli occhi più belli di Hollywood dando luogo a uno dei rapporti più longevi del cinema) e un monumentale Orson Welles in una delle sue migliori performance d'attore. La sceneggiatura di Irving Ravetch e Harriett Frank Jr coglie in pieno lo spirito “torrido e assolato” del vecchio Sud di matrice faulkneriana (pur ammorbidendone di parecchio la visione morbosa: era pur sempre il 1958!). Amore, gelosia, passione, ambizione, avidità, frustrazione: questi gli ingredienti dell’affresco che culminerà nelle concitate sequenze finali. VOTO 10

La gatta sul tetto che scotta (Richard Brooks, 1958)
Sempre Tennessee Williams come fonte letteraria e di nuovo un grande Newman sullo schermo, coadiuvato stavolta da un altro paio di occhi irresistibili, quelli della meravigliosa Liz Taylor. La storia s'impernia sulle vicende di una famiglia del Mississippi, dove un autoritario barone terriero malato di cancro festeggia il suo 65° compleanno insoddisfatto dei due figli, uno dei quali è un avido bruto e l'altro un ex atleta nevrotico che rifiuta di dormire con la bella moglie (nel testo scritto era impotente e forse omosessuale). L'adattamento - purgato e ripulito per il pubblico cinematografico di quegli anni - della commedia di Williams, ebbe grande successo di critica e pubblico poiché il regista Brooks era davvero un gigante nel dirigere gli attori. La pellicola si guadagnò ben sei nomination ai premi Oscar ma non ne vinse nessuno. Non sappiamo dire quanto lo spirito del tempo sapesse cogliere il profondo dramma (la disfunzionalità sessuale ed affettiva, la rivalsa verso i padri, la sconfitta delle ambizioni) celato in quella che sembra a primo acchito una storia di amori negati e inseguimenti famigliari, ma almeno Newman meritava sicuramente una statuetta per la sua incredibile prova d'attore. VOTO 10

Riflessi in un occhio d'oro (John Huston, 1967)
Tratto da un caposaldo della letteratura sudista (ne parlammo qui) firmato da Carson McCullers, il film mette a cuocere a fuoco lento un discreto groviglio di personaggi infelici e inquieti. Le coordinate narrative: in una base militare della Georgia, il maggiore Penderton (impersonato da chi? Dal grande Marlon Brando, chi altri?) è sposato con l’affascinante Leonora (eccola, ancora lei, una Liz Taylor sempre bellissima e anzi qui deliziosamente curvy), la quale tradisce il marito dopo averne scoperto le tendenze omosessuali. Convinto che l’amante della moglie sia un giovane soldato, il maggiore Penderton, armato di pistola, commetterà un errore che gli costerà carriera e sanità mentale.
Girato in parte a Roma presso gli studi Dino De Laurentis e in parte negli Stati Uniti in una base aerea militare a Long Island, Riflessi in un occhio d’oro è un film intricato dal punto di vista psicologico e narrativo e che, sostanzialmente, gira intorno a due “incidenti”: il giovane soldato che vede Leonora nuda e il maggiore che scopre l’esistenza del giovane soldato. La logica interna del film è costruita su questi due episodi apicali, che diventano i poli sui quali l'intera vicenda si srotola, una vicenda in cui tutti guardano tutti. Huston fa come i suoi personaggi: guarda, ma non giudica. Lasciando agli spettatori la responsabilità di parteggiare e, se ne sono in grado, comprendere quanto l'animo umano possa essere labirintico. VOTO 9

I guerrieri della palude silenziosa (Walter Hill, 1981)
Agli inizi della sua carriera il bravo cineasta americano Walter Hill era con tutta evidenza ossessionato dallo schema dell’Anabasi di Senofonte. L'idea di un manipolo di uomini sperduti e braccati che lottano per trovare la salvezza è infatti alla base del suo successo più clamoroso, il mitico I Guerrieri della Notte (1979), nonché - fatti i dovuti distinguo - dell'altrettanto famoso I cavalieri dalle lunghe ombre (1982). Ma è soprattutto nella pellicola cronologicamente posta al centro di questi due capisaldi dell'action-drama che il saccheggio dal prestigioso modello si fa smaccato: in I guerrieri della palude silenziosa (volgare richiamo italiano al primo film di cassetta del regista, in realtà in originale il lungometraggio in questione si chiama Southern Comfort, come il noto liquore degli Stati Confederati) un gruppo di soldati dilettanti appartenente alla Guardia Nazionale (tra cui spiccano gli ottimi Keith Carradine, Powers Boothe e Fred Ward) è impegnato in una blanda esercitazione negli acquitrini della Louisiana, territorio della minoranza francofona cajun, una popolazione estremamente gelosa della propria privacy. Esaltati quanto inesperti e goffi, i soldati sparano (a salve) su un gruppo di cacciatori cajun, dando luogo ad una serie di equivoci che sfocerà da parte degli abitanti del luogo in una vera e propria caccia all'uomo all'ultimo sangue. La tranquilla scampagnata si trasforma così in un incubo alla Deliverance (da noi Un tranquillo weekend di paura, altro esempio di traduzione opinabile del titolo) e se in quel seminale film il tranquillo borghese americano medio scopriva la propria ferocia sopita, qui è un certo «rambismo» d'accatto ad essere messo in discussione. I soldati, messi alle strette dai cacciatori bifolchi (inquietanti i ritrovamenti degli scalpi, gli animali scuoiati, le capanne cadenti e fetide) cadono uno dopo l'altro nelle loro trappole, escogitate con un sadismo disarmante. Gli inseguitori non si vedono mai, sono ombre ingombranti, moleste, inarrestabili, presenze che finiscono per far riaffiorare nel gruppo di prede la pazzia e l'odio reciproco. Magistrali le inquadrature naturalistiche in cui gli scorci palustri, sommersi da un velo di acqua torbida da cui emergono radici e tronchi scamozzati, sono soffocati dai grovigli di vegetazione. Le inquadrature finali sono tesissime e ritmate, accompagnate da ossessive ballate folk che accompagnano scene di combattimento molto cruente. Chiude una incisiva sequenza che mostra un maiale squartato che sembra alludere al probabile destino dei superstiti. Brion James, già replicante in Blade Runner, è uno dei cajun cattivi. In sottofondo, la chitarra struggente di Ry CooderVOTO 10

Riflessi sulla pelle (Philip Ridley, 1990)
Anni quaranta: il piccolo Seth vive in mezzo al nulla canadese circondato da adulti squallidi e un po' pazzi. Replica la loro crudeltà sugli animali (ad esempio gonfia le rane e le fa esplodere a sassate) e finisce per dare addosso a una vicina inglese, convinto trattarsi di una vampira. Il ritorno a casa del fratello maggiore (un imberbe Viggo Mortensen) segnerà l'avvio di un susseguirsi di eventi tragici.
L’esordio registico dello scrittore Philip Ridley, pur imperfetto e non sempre scorrevole, si specchia perfettamente nei suoi racconti gotici per l’infanzia (e nella sceneggiatura de I Corvi di Peter Medak): un linguaggio lynchano e iperrealista viene asservito a una cupa visione del mondo rappresentando un pessimismo che, attraverso la malvagità dell’uomo, si fa apologo sulla morte dell’innocenza. Riflessi sulla pelle è una pellicola sulla fine dell'infanzia segnata da quel momento in cui ci si rende conto che il boogeyman non esiste, ma che il Male permea tutto quello con cui abbiamo a che fare e non è, semplicemente, ascrivibile a una determinata cosa o persona. L’urlo finale del novenne, al termine di un viaggio mefitico oltre la linea d'ombra dell'adolescenza, è uno dei momenti più agghiaccianti della storia del Cinema, proprio perché contamina il luogo della purezza (l’infanzia) e, allo stesso tempo, lo carica di un dolore esistenziale che nel nostro immaginario non dovrebbe appartenergli. Altre figure simboliche sono felicemente indecifrabili (le due gemelle che emettono strani versi, il feto mummificato), tutto feconda l’amara riflessione sull’esistenza, sulla sua atrocità riflessa nell’invecchiamento, i cui riflessi “argentei” possiamo vedere, anche, sulla pelle di un altro Seth, figlio della bomba di Hiroshima. Pervasa da un inquietante commento sonoro e da una fotografia pittorica (si pensi alle opere straordinarie di Andrew Wyeth), con echi fra infanzia e fantasy horror, l’oscurità risuona più potente. VOTO 8

Mezzanotte nel giardino del bene e del male (C. Eastwood, 1997)
Nel 1997 lasciò di stucco in parecchi la decisione di Eastwood, l'ultimo dei grandi registi classici nonché estremo baluardo della virilità cinematografica (dallo straniero senza nome per Leone sino all'ispettore Callaghan dei film di Siegel quelli da lui interpretati sono sempre eroi iper-tosti, ai limiti del fascismo), di dirigere una pellicola come Mezzanotte nel giardino del bene e del male, la cui affollata ridda di protagonisti per lo più contraddice le convenzioni di ogni machismo riconosciuto e codificato.
La storia vede il giornalista newyorchese John Kelso (un efficace John Cusack, dotato al solito di una sola espressione qui però funzionalissima al ruolo di eroe-per-forza) inviato nel profondo sud dalla rivista Town and Country per un servizio sul più sontuoso evento mondano dell'anno: giunto nella cittadina di Savannah, Kelso si ritrova però in una situazione che non si attarda a definire un «Via col Vento sotto mescalina». Elegante città della Georgia, Savannah, infatti, conserva ancora intatta - con le sue villette aristocratiche, i viali alberati - quell'atmosfera indolente tipica dei bei tempi che furono, un epoca in cui l'essere o meno invitati ai ricevimenti nelle magioni dei gentiluomini più influenti faceva la differenza. Ora il cittadino più in vista è Jim Williams, un parvenu dai modi azzimati, i cui party natalizi sono rinomatissimi. Ma il figuro è anche un pederasta, e quando il suo irascibile amante Billy Hanson (un ancora poco noto Jude Law in versione redneck), viene trovato stecchito la storia assume i connotati di un thriller (anomalo però, giacché la supposta colpevolezza del dandy impersonato da Kevin Spacey viene di fatto consegnata alla responsabilità dello spettatore). Legittima difesa o omicidio volontario, quindi? Mentre il dramma si srotola, esplodendo in ironiche rappresentazioni da cartolina in puro stile southern gothic, John Kelso decide di trattenersi in città per scrivere un libro sulla vicenda. Inizia così a indagare incrociando nella sua ricerca personaggi d'ogni tipo: dalla bella e moderna Mandy (Alison Eastwood, figlia del regista) a Lady Chablis, iconoclasta trans «abbronzato» che si esibisce in esilaranti spettacoli di cabaret, sino a Minerva, sacerdotessa voodoo che elabora le sue pratiche magiche nel cimitero cittadino - il giardino del bene e del male del titolo - la mezzora antecedente la mezzanotte a favore del bene, quella successiva a favore del male. Il vecchio zio Clint, alla sua regia numero venti, dirige con pacata maestria un gruppo di attori bravi ed affiatati in uno dei film sicuramente più interessanti del suo carnet (invero denso di capolavori). Dramma giudiziario e commedia al contempo, Mezzanotte nel giardino del bene e del male è tratto dall'omonimo best-seller di John BerendtVOTO 9

Blake snake moan (Craig Brewer, 2006)
Una pellicola in puro stile southern-gothic, questo eccellente Blake snake moan, il «lamento del serpente nero» che in gergo blues (il titolo è prelevato di forza da un pezzo degli anni Venti di Blind Lemon Jefferson) simboleggia la rabbia di chi è divorato dal tradimento.
La storia vede la giovanissima Rae (una Christina Ricci davvero esuberante, capace di mettersi a nudo - in tutti i sensi - davanti alla cinepresa) vittima di un serio disturbo del comportamento sessuale che prevede la soddisfazione compulsiva del desiderio e per il quale diventa un vero e proprio bersaglio per ogni maschio del piccolo sobborgo agrario in cui vive, nel profondo sud del Tennessee. A salvarla dal vortice di vizio e depravazione s'incaricherà l'anziano Lazarus (Samuel L. Jackson), un rude contadino di colore - nonché bluesman - abbandonato dalla moglie (è lui il cantore del blake snake moan del titolo), che rapisce e relega nella propria casa la focosa Rae. Il suo intento non è solo di sottrarla ad abusi più o meno consensuali, ma di renderla conscia delle proprie libertà e dignità di persona, cercando così di darle una possibilità di riscatto.
In questa vibrante pellicola diretta da Craig Brewer nel 2006 (da noi naturalmente uscita direttamente in dvd, perché non sia mai che la popolazione afflitta la letargia catatonica possa venire scossa da un prodotto troppo discostante dal piattume paratelevisivo imperante) la Ricci fa un lavoro magnifico nel ruolo della ninfomane ribelle dal passato zeppo di abusi, facendone un personaggio torbido ma che nel profondo dell'animo vorrebbe solo riuscire a provare un sentimento vero (ci riuscirà alla fine con Justin Timberlake, qui nella parte di un vulnerabile terrone preda di attacchi d'ansia). In slip bianchi e poco altro indosso, l'attrice passa buona parte del film attaccata a una grossa catena, riuscendo a renderla una cosa credibile (siamo nel deep south, d'altronde, e queste cose succedono anche da noi!). Solita prova maiuscola per Samul Jackson, che per interpretare il contadino chitarrista ha imparato davvero a suonare lo strumento, e colonna sonora da sturbo: una succulenta compilation di pezzi che rendono il film una sorta di vero e proprio disco d'ascolto. VOTO 9

9 commenti:

CREPASCOLO ha detto...

John Marc De Matteis ( Jean Marc a dire il vero per parecchi anni nei credits ) sceneggiatore famoso x gli psicodrammi in cui tuffa i picchiatelli in costume ( sua la famosa Ultima Caccia di Kraven ) o per il mood da sit- com di altri lavori ( il cult comics Justice League International della seconda metà degli anni ottanta ) ha lavorato brevemente anche x Dadedevil negli anni novanta al tempo in cui Scavezzacollo usciva dalla run di DG Chichester che x gli ultimi episodi si era firmato Alan Smithee ( il nickname di un regista che non si sente di firmare un film pesantemente rimaneggiato dalla produzione ). JM inizia con il botto - DD 344 prima serie da noi Devil & Hulk n. 35 - seguendo l'eroe cieco in conflitto con il vigilante corazzato che è diventato nelle precedenti avventure ed alla ricerca proustiana del bimbo secchione x volontà paterna che fu in gg in cui era il punching ball dei bulli e Nick Fury che è inseguito da un Punisher mesmerizzato che vuole stecchirlo, ma si perde nel vecchio quartiere alla ricerca del cucciolo sognatore che sedeva sul tetto, nella notte, ripieno di speranza . I due personaggi si incrociano a Hell's Kitchen , dove erano nati, e vediamo anche i due " fantasmi " dei bimbi che furono, vicini, guardarli sfingei. Mentono vicendevolmente, almeno a parole, dicendosi che non hanno trovato cosa stavano cercando .
La sequenza è sicuramente ispirata dal Paul Newman della gatta che parla con il padre, latifondista nel suo crepuscolo, che finalmente ricorda il senso delle cose ritornando ai gg in cui non aveva nulla a parte un padre clochard che giocava con lui xchè gli voleva bene e con il quale inseguiva il treno come se il presente fosse eterno.
Matite molto anni novanta di Ron Wagner ( Ghost Rider e soprattutto i bellissim primi episodi del Morbius di Len Kaminski ) e chine istintive e stilose di Bill Reinhold.
Quella roba - al netto del caldo intollerabile, le magioni in rovina, la limonata nel gazebo ed i maschi in crisi - è davvero universale.

sartoris ha detto...

@crepa grazie. È il genere di notazioni che mi aspetto da te. (Questa ad esempio, se me l'avessi inviata via posta privata, sarebbe stata ottima per un post a sé... davvero, la prossima volta fallo, ci tengo. L'indirizzo mail è lassù insieme ai miei dati :-)

Anonimo ha detto...

Brando, Newman, Liz Taylor, Mitchum... ci sono nomi che ritornano, nella prima infornata gotica (^-^)

PIPPO

sartoris ha detto...

@Pippo: vero, c'è una cerchia di attori che ritorna (dovrei un attimo verificare, ma credo che ciò abbia a che vedere con le loro origini: non puoi parlare sudista se non sei davvero cresciuto in uno degli stati meridionali - Matthew McConaughey insegna, in True Detective o nel film MUD ha fatto un lavoro incredibile lavorando sul suo proprio idioma, essendo originario del Texas!)

Anonimo ha detto...

Ho visto praticamente solo "La gatta" ma che film spettacolare che è... attori stupendi per un cinema irripetibile :)))
(Ethel)

Antonella Giuliano ha detto...

Dici bene, Omar, che per noi adulti il dolore è una categoria che non dovrebbe appartenenere ai bambini: è una di quelle certezze presunte che causano tanti problemi nel rapporto con l'infanzia. Penso, invece, che i bambini il dolore lo conoscano fin troppo bene avendone esperienza fin da subito e a partire da quelle mura domestiche che dovrebbero proteggerli. Riflessi sulla pelle è film interessante, mi piacerebbe vederlo. Grazie Omar!

sartoris ha detto...

@Ethel: penso anche io che la Gatta sul tetto che scotta abbia attori in stato di grazia (loro due, poi, i protagonisti, sono di un bello che mozza il fiato!)

@Anto: gran film, vedilo quanto prima, ti avviso però che contiene molti momenti perturbanti (per intenderci, se non sei un'amante di certo Lynch forse ti deluderà:-)

LUIGI BICCO ha detto...

Sono arrivato tardi ma ci sono. Ed ecco qui i risultati: La Via del Tabacco e Riflessi sulla Pelle li devo assolutamente recuperare in qualche modo. Non ho visto nemmeno Blake Snake Moan, ma ricordo che ne avevi già parlato molto bene in un post di qualche tempo fa.

sartoris ha detto...

@bicco mi chiedevo dove fossi :-) (in realtà ho parlato singolarmente di quasi tutti i titoli... d'altronde sono capisaldi:-)