
La trovata di far rivivere a un personaggio porzioni di vita in maniera reiterata non è nuova alla Settima Arte ed è anzi stata abusata in molte occasioni, negli ultimi anni.
Source Code ha però dalla sua uno sviluppo agile e ben congegnato, qualcosa in grado di dare a bere allo spettatore la montagna di concetti scientifici (non necessariamente veritieri) senza troppo appesantirgli le meningi: la vicenda raccontata da Duncan Jones (eh sì, è il figlio di David Bowie, sempre lui) è infatti, fuor di discussione e malgrado qualche facile aggiustamento sul finale, una storia ad altissimo gradiente emotivo.
Non tutto torna nella sceneggiatura - o è comunque volontariamente arzigogolata al punto tale da scoraggiare chiunque si cimentasse nell'impresa di decodificarla -, ma una certa indeterminatezza logistica sembra parte della complicità richiesta a chi guarda il film, un po' come avveniva per il serial Quantum Leap, dove i richiami alla meccanica quantistica erano funzionali a velare con una patina di scienza il vero concept della serie. Lo scambio di identità in cui incappa Jake Gillenhall (ormai abbonato al fisico super-pumped come manco li megli eroi action) è il tratto che narrativamente avvicina di più questa pellicola a quella dell'esordio del regista, Moon, ma non v'è dubbio che, nonostante gli abiti civili, il tentacolare caos della metropoli e la realtà degli uffici del programma governativo, Source Code sia quasi più fantascientifico del suo precedente ambientato nello spazio.
In aggiunta ci sono l'azione spasmodica, il ritmo, la riflessione sul dolore e la perdita che scatenano le guerre, e poi ci sono le esistenze minime ma non per questo meno importanti di coloro che vivono intorno al flusso temporale, le vite incompiute delle persone morte nell'attentato, che troveranno la realizzazione delle loro esistenze solo nella realtà migliorata del source code, dove gli sbagli - al pari di un videogioco - possono essere corretti. Buona anche la recitazione: oltre al calzante Gylleenhall ormai degnamente catapultato nella compagine dei duri di cuore alla Harrison Ford, è notevole anche Vera Farmiga, perfetta nel ruolo di fredda osservatrice che scopre di avere un'anima. Film molto meno concettuale, a ben vedere, del precedente del regista, e sicuramente più popular, ma fa bene il suo sporco lavoro portando quindi un ottimo voto a casa!
4 commenti:
Ora, metti insieme nello stesso articolo Quantum Leap (viva Scott Bakula, sempre), Moon (grazie, ieri guardavo Pianeta rosso e non ricordavo più il titolo di Moon!!) e il piacevolissimo (nonostante il finale ;-)) Source Code e il figlio del duca.
Credo che ti eleggerò mio blogger preferito :-D
@Annalisa, io pensavo già di esserlo ;-)
:-D :-D
Eh, già, infatti lo stavo appunto scrivendo in un post-scriptum, e poi ho pensato: eddài, lasciamo che lo dica il padrone di casa :-D
:-D
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