«Ho sempre pensato che l’Australia fossa adatta a un western moderno; Red Hill è il mio tributo al western. È un film sulla vendetta, la redenzione e il sacrificio», ha dichiarato l'esordiente Patrick Hughes presentando il suo Red Hill (2010), ed effettivamente il dazio al padre di tutti i generi cinematografici contemporanei questa pellicola lo paga senza troppo celarlo, a partire dal nome del protagonista: quello Shane, interpretato dal televisivo Ryan Kwanten (Jason di True Blood), che è anche il titolo originale di una vera colonna portante del mito in celluloide interpretato da Alan Ladd nel 1953 (titolo italiano Il cavaliere della valle solitaria) per la regia di George Stevens. Ma si ravvisano senza troppe difficoltà anche tracce di spaghetti-western all'italiana per il marcato utilizzo di figure dalla psicologia granitica e fumettistica, come lo sceriffo sovrappeso e corrotto Old Bill (Steve Bisley) fiancheggiato dai suoi loschi famigli o l'ergastolano aborigeno dai tratti demoniaci che si rivelerà un giusto nel finale (lo impersona tal Tom E. Lewis, bella faccia da pugile suonato cui una bruciatura da gas ha devastato metà espressione).
La storia sfrutta il più classico dei topoi: quello del ritorno in città del villain assetato di vendetta, un modello che il grande schermo ha sapientemente sfruttato regalandoci numerose piccole gemme come Lo straniero senza nome (1974) di un già magistrale Clint Eastwood oppure filmacci di categoria inferiore (ma non per questo meno affascinanti, anzi) come il meno noto Django il bastardo del nostrano Sergio Garrone (1969), e che - sia detto per inciso - è il medesimo costrutto sul quale persino questo romanzo molto caro al titolare del blog è interamente costruito. La trama pertanto s'impernia sulla fuga dalla prigione dell'aborigeno Jimmy e sul suo conseguente arrivo nella piccola cittadina di Red Hill dove tutti lo aspettano con grande apprensione in un'atmosfera di omertosa tragedia. Il giovane vicesceriffo Shane è giunto in città assieme alla moglie Alice per attendere lontano dal caos delle grandi metropoli la nascita del suo primogenito proprio quando, come previsto, la furia di Jimmy si riversa sulle stradine dello agglomerato di case isolate dando avvio ad una spietata quanto metodica eliminazione di tutti i maggiorenti del paese. Non ci vuole molto a subodorare che quindici anni prima nella solitaria Red Hill qualcosa di terribile è accaduto ai danni dell'ergastolano vindice e che egli sta compiendo il suo biblico occhio per occhio mosso da un proprio, personalissimo codice morale (infatti, deliberatamente non elimina Shane poiché il giovane vicesceriffo non rientra nelle sue letali volontà di rivalsa).
L'Australia è notoriamente terra assai propizia dal punto di vista cinematografico, e nell'ultimo decennio (forse ventennio, e anche più se si considera l'esplosione dei vari Mad Max) da quei lidi sta arrivando davvero un sacco di roba interessante. La rilettura in chiave western l'avevamo già avuta, con risultati davvero pregevoli e eminentemente mccarthyani, con l'inarrivabile The proposition, ma Red Hill, tralasciando alcune ingenuità nel plot (è pur sempre un'opera prima, tra l'altro girata al risparmio in quattro settimane) aggiunge sicuramente un tassello in più in questa direzione, cercando magari - senza agguantarla mai, a essere sinceri - la contaminazione con la prospettiva dei Coen di Non è un paese per vecchi (si veda il tripudio di cavalli e pick-up, gli splendidi paesaggi, le schitarrate struggenti e la schiatta di brutti ceffi in primo piano), potendo contare su un substrato storico molto vicino a quello dei cugini americani (il genocidio degli aborigeni così uguale a quello dei pellerossa) e un sincero amore per il genere. «Il personaggio di Jimmy Conway - ha detto ancora il regista - incarna il nostro oscuro passato coloniale. Negli anni, molte storie sono state raccontate sulle ingiustizie subite dalla comunità degli indigeni australiani ma raramente gli è stata data la possibilità di vendicarsi. Pensavo che fosse giunto il momento». Non sempre convincente ma appassionato (e appassionante), il film ha numerosi punti di forza, si lascia guardare con affetto facendo talvolta, quasi a sorpresa, scattare l'applauso (come quando dal nulla compare tra le vacche una pantera). Forse interpreti di maggior consistenza avrebbero aiutato, ma il finale vecchia scuola, col cattivo redento che s'immola, merita da solo la visione.
4 commenti:
Stavo per consigliartelo con un commento a Primal - che non ho visto pur avendolo sondato, inizio a sospettare che consultiamo gli stessi "canali". Poi ho pensato che era strano ti fosse sfuggito. Infatti ho trovato questo post che non ricordavo.
Non male, seppure con qualche limite accettabile. Premio personale alla canzone autocitazionista messa al jukebox da Jimmy. L'ho scoperto ieri e visto stasera e ho finito La legge di Fonzi l'altroieri. Gradite coincidenze.
@Marco, non c'è dubbio che i canali siano gli stessi :-) (documentati, tra l'altro, nella lista di link amici alla destra di questo blog)
Non malaccio, Red Hill, mi ha divertito. E anche La legge di Fonzi, mi ha divertito :-)
Sì, da tempo seguo un paio di link amici. Pochi alla volta altrimenti collasso :>
Pure io mi sono divertito con film e libro. A proposito, Giuanni mi ha ricordato Ken il guerriero quando torna barbuto e vagabondo a inizio seconda serie. Anche la sua imbattibilità nel corpo a corpo mi ha fatto fare sto collegamento ilare!
Eh ma infatti c'hai visto giusto (perlomeno nella misura in cui Ken il guerriero fa parte del mio immaginario, Giuanni non è deliberatamente ispirato a lui, ma d'altronde lo stesso Ken è l'epitome di molti "stranieri" alla Sergio Leone e quindi il cerchio si chiude) (La scuola di Hokuto resta nel mio cuore;-)
Posta un commento