Per la terza volta dietro la macchina da presa dopo Brivido nella notte (1971) e Breezy (1973), Clint Eastwood firma la regia de Lo straniero senza nome (vero titolo: High Plains Drifter) con piglio alla Don Siegel e confeziona un western di buona, anzi straordinaria fattura, memore anche della lezione degli spaghetti-western di ascendenza leoniana. Facendo tesoro del suo passato nel Belpaese, infatti, il mitico Zio Clint scava nel genere regalandoci un western sulfureo e molto crudo, dal passo asciutto (il primo western con il mare come sfondo, tra l'altro!), scegliendo per sé i panni di un misterioso, cinico e gelido Angelo della Vendetta, con palesi riferimenti a Django il bastardo (anche lì il pistolero emanava un alone quasi soprannaturale) e ad altri western nostrani di argomento affine.
Vero protagonista del film è il rimorso degli abitanti del villaggio per avere lasciato massacrare lo sceriffo da tre criminali imprigionati (il capo della troika è Geoffrey Lewis, faccia da cattivo di tanti film e padre della più famosa - quanto sbroccatissima - attrice Juliette): in realtà anche loro avevano interesse a liberarsi dell'uomo di legge che aveva scoperto scottanti segreti. Lo straniero, animato da una celata sete di vendetta, imporrà le proprie regole come pegno ai pavidi cittadini che lo hanno ingaggiato per difenderli, arrivando a far dipingere di rosso tutte le case e ribattezzando Hell (inferno) la città.
Le musiche, soprattutto i cori, sorreggono perfettamente il côté gotico di sottofondo accompagnando il protagonista nel suo svelto tragitto verso il duello finale. Eastwood, sornione come di consueto, non sorride mai: dedicherà appena un mezzo sorriso al nano che gli salva la vita. E il desiderio di vendetta che anima lo straniero diventa il subdolo fulcro dell'intero film: non è vero infatti, come dice il critico Mereghetti sul suo popolare dizionario, che è «libero lo spettatore, alla fine, di stabilire chi egli fosse veramente», perché invece, alla fine, lo straniero ce lo dice, ma solo nel normalizzante doppiaggio italiano (spoiler: è il fratello dello sceriffo massacrato!) mentre nell'originale Eastwood resta un ignoto e luciferino spirito della giustizia, forse addirittura la reincarnazione del marshal ucciso.
Le musiche, soprattutto i cori, sorreggono perfettamente il côté gotico di sottofondo accompagnando il protagonista nel suo svelto tragitto verso il duello finale. Eastwood, sornione come di consueto, non sorride mai: dedicherà appena un mezzo sorriso al nano che gli salva la vita. E il desiderio di vendetta che anima lo straniero diventa il subdolo fulcro dell'intero film: non è vero infatti, come dice il critico Mereghetti sul suo popolare dizionario, che è «libero lo spettatore, alla fine, di stabilire chi egli fosse veramente», perché invece, alla fine, lo straniero ce lo dice, ma solo nel normalizzante doppiaggio italiano (spoiler: è il fratello dello sceriffo massacrato!) mentre nell'originale Eastwood resta un ignoto e luciferino spirito della giustizia, forse addirittura la reincarnazione del marshal ucciso.
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