venerdì 18 settembre 2015

la città delle ossa. ovvero la bellezza del non detto

scarno riassunto: su una collina vengono trovati resti di ossa di un ragazzo dai dieci ai tredici anni che presentano numerose fratture e traumi causati probabilmente da maltrattamenti. È presente addirittura una trapanazione al cranio. La morte probabile conseguenza di un colpo inferto con un oggetto contundente come una mazza da baseball. Viene trovato anche uno zaino pieno di vestiti. Il decesso risale a circa venti o venticinque anni. Il caso è affidato a Harry Bosch. È sospettato Nicholas Trent che ha molestato un ragazzo di nove anni nel 1966. La sua fine “Trovò Trent nella doccia del bagno adiacente alla sua camera da letto: Aveva legate due corde da bucato al tubo della doccia in modo da formare un nodo scorsoio, poi, infilando il collo nel nodo, si era lasciato cadere con tutto il suo peso morendo asfissiato”. Ha lasciato del denaro a diversi enti di beneficenza che si occupano di bambini in difficoltà. Si scopre l’identità del ragazzo morto. Incontro con la sorella e la madre. Storia pietosa di soprusi e sofferenze (madre picchiata dal marito, poi fuggita di casa). Il vicecapo Irving desidera risolvere il caso alla svelta. L’omicida per lui è Trent che si è tolto la vita quando è stato scoperto. Bosch non ci crede e l’indagine continua…
Ma chi è Harry Bosch? Orfano di padre a undici anni, seguito con amore dalla madre, segue il basket professionista e ha la passione per il jazz. Vecchia relazione con Teresa Corazon, medico legale della contea con la quale ha difficili rapporti. Dirige tutti come un generale, forte e sbrigativo “Bosch allungò una mano e lo afferrò per la pettorina del grembiule, trascinandolo di forza fuori dal camioncino. L’uomo atterrò in piedi, ma dovette muovere qualche passo per evitare di cadere”. Ogni tanto ripensa al passato e riflette “Si chinò e si gettò dell’acqua fredda sul viso e sugli occhi. Chissà perché, gli venne in mente il battesimo. Pensò che la vita offriva a volte delle nuove possibilità, una sorta di rinnovamento”. Conosce i lati oscuri del mestiere “Si sguazzava in una fogna giorno dopo giorno con la sensazione che al mondo non ci fosse altro. Ecco perché non sarebbe più tornato al lavoro di pattuglia”. Ha una nuova relazione con una agente, la recluta Julia Brasher ma anche qui non smette di almanaccare “Più tardi, mentre lei era sdraiata a faccia in giù sul suo letto, seguendo con un dito il contorno del sole fiammeggiante tatuato nella parte bassa della schiena Bosch pensò che la sentiva vicina ed estranea al tempo stesso. Non sapeva niente di lei. Al pari del suo tatuaggio, c’era in lei qualcosa di sorprendente, da qualsiasi prospettiva la si guardasse”. È stato nell’esercito, ha partecipato alla guerra in Vietnam. Anche lui aveva dei tatuaggi ma glieli hanno fatto togliere tra cui una scritta “Tieni duro” che aveva visto stampata sulle dita dei pescatori di San Pedro. Ha anche un paio di cicatrici sopra il fianco sinistro e su una spalla dovute ad una coltellata e ad un proiettile. Con lei cerca di entrare in un contatto più profondo. Si confida “C’è una donna che mi ha spezzato il cuore per ben due volte. E vuoi sapere una cosa? Ho tenuto la sua foto su uno scaffale del soggiorno per un sacco di tempo. A Capodanno ho deciso che poteva bastare e così l’ho tolta”. Per quanto riguarda la fede, su insistenza del dottor William Golliher “Io ce l’ho la fede, e ho anche una missione. Credo fermamente che niente capiti per caso. Che quelle ossa siano sbucate dal terreno per una ragione precisa. Forse erano un messaggio per me, una richiesta di intervento. È questo che mi dà forza e mi permette di andare avanti. Ed è ugualmente invisibile ai raggi X”. E riesce con la sua caparbietà, con la sua forza interiore, con la sua onestà, anche andando contro alla stessa polizia, a risolvere il caso. Il tutto espresso in una prosa secca, asciutta. Terribile. Sia del detto che del non detto.
Bosch: la serie tv prodotta da Amazon Studios
Esemplare in tal senso l’incontro, insieme al collega Edgar, con la madre picchiata dal marito e scappata di casa. Subito in rilievo la casa “Era indubbiamente la residenza più lussuosa, costruita in un punto da cui si vedevano tutte le altre ville e il campo da golf”. Primo giudizio di Bosch “La gente può cambiare indirizzo ma resta quella che è” e prima osservazione: signora con i capelli biondi e gli occhi tirati, occhi di azzurro chiaro (un po’ glaciali) che fissano i due uomini. Alla presentazione non stringe la mano, la tiene solo per un attimo. Dimostra dieci anni di meno dei suoi cinquantasei per via della chirurgia plastica. Subito pungente sulla mancata discrezione della polizia di Los Angeles. Vuole vedere l’ordine del tribunale. Si sente schiaffeggiata dalle parole di Edgar, la voce si fa sempre più tesa, vuole che se ne vadano, si alza. “Suo figlio è morto, signora” sbottò Edgar. “Il figlio che si è lasciato alle spalle trent’anni fa”. Una mazzata. Si abbandona sul divano come se le gambe non abbiano più forza. Ecco i ricordi che si abbattono su di lei. Silenzio. Si chiude la bocca con la mano, si colpisce le labbra, scuote la testa, cerca una spiegazione. Scappata perché era troppo giovane, troppa responsabilità. Scuote di nuovo la testa. Racconta, si difende, contrattacca, si alza di nuovo, ritorna convinta dalla minaccia del Bosch. Racconta di nuovo di suo marito, delle percosse subite. Una volta era passata davanti alla sua vecchia casa ma non si era fermata. All’improvviso una domanda sulla figlia e poi, forse, la voglia di continuare “Siete venuti qui per rivolgermi queste poche domande?”. Ma tutto è finito. “Si avviarono alla porta, e lei li seguì a breve distanza. Fuori, sotto il portico, Bosch si voltò a guardarla. Per un attimo i loro sguardi si incontrarono. Tentò di trovare qualcosa da dire, ma non gli venne a mente niente. Christine Waters chiuse la porta”. Silenzio. Ma la storia, questa storia non è finita. Bosch e la madre di Arthur si ritrovano alla fine del romanzo vicino alla tomba del povero ragazzo. Un saluto. Poche parole. Una scatola piena di buste con foto di bambini che devono essere aiutati. Bosch la porge alla donna. “Si prenda cura di questi bambini”. “Da dove vengono?”. “Non ha importanza. Bisogna che qualcuno si prenda cura di loro”. Poi di nuovo silenzio. La signora prende la scatola, sale sulla macchina e ancora una volta gli sguardi si incrociano. Ora è lei che vorrebbe parlare “Parve sul punto di dire qualcosa, poi ci ripensò. Si sedette e sparì. Bosch richiuse il bagagliaio e la guardò allontanarsi”. Silenzio.
Il dramma è finito, incollato dentro di loro. Uno dei momenti più belli della letteratura. Non solo poliziesca. (Fabio Lotti)

La città delle ossa
Michael Connelly, Piemme 2006.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

grandissimo personaggio Bosch, non vedo l'ora di sciropparmi la serie (in giro si trova con facilità:)
PIPPO

sartoris ha detto...

@Pippo condivido, anche noi quaggiù siamo dei grandi estimatori di Connoly (i suoi volumi sono una droga, quando ne cominci uno poi ti tocca leggerli tutti dannazione!:-)))))

Annalisa ha detto...

Sì, sì, è stato la mia droga estiva. Non so, però, se sono pronta per "quell"'Harry Bosch che vedo nella foto...

sartoris ha detto...

@Annalisa anche io ero diffidente ma ti assicuro che la serie vale... :-)

La firma cangiante ha detto...

Bosch, gran bel personaggio. Da poco ho visto Transformers 4 con l'attore che impersonifica il detective nella serie tv... l'avrei ucciso a forza di cucchiaiate in testa.

sartoris ha detto...

@firma: ahahah, e' Titus welliver, un bravissimo attore :-)