martedì 14 gennaio 2014

sulle strade dell'anima...

Non è difficile capire perché Quentin Tarantino faccia dire a Zoe, una delle protagoniste del suo Grindhouse, che «Punto Zero è un fottuto classico, uno dei migliori film americani che siano mai stati fatti». Il capolavoro di Richard Sarafian del 1971 è infatti un'opera fondante di quel mito on the road che percorse gli USA in quegli anni e che generò una schiatta di pellicole «in fuga»: l'obbligatorio Easy Rider in testa ma anche Strada a doppia corsia di Monte Hellman, Duel di Spielberg, Electra Glide di James William Guercio sino al capostipite Gangster Story di Arthur Penn (che è del 1967).
Sono film che rappresentano perfettamente quella volontà di scontro e ribellismo insita nel periodo della controcultura americana: strade, motociclette, paesaggi mozzafiato, automobili sfreccianti e uomini con l'ossessione di una sfida da vincere (o perdere, purché con un piglio epico) e di spazi da conquistare. Uomini persi in deserti o braccati dalla polizia, disposti a giocarsi tutto per smarcare le lontananze ed arrivare all'estremo di un orizzonte che sembra raggiungibile (senza esserlo in realtà mai).
L'America di Punto Zero (bello il titolo italiano ma l'originale Vanishing Point è ancora meglio) è un posto da cui fuggire, un luogo da lasciarsi alle spalle a velocità estrema per trovare - dove? - un rifugio in cui stare, in cui trovare la propria voce.
Il protagonista del film di Sarafian, un ex pilota di cui conosciamo solo il cognome, Kowalski, varca a bordo di una Dodge Challenger del '70 i confini del Colorado via Nevada, diretto in California, mentre la polizia di tre stati lo insegue per una semplice infrazione sul livello di velocità. E improvvisamente, mentre una piccola radio di provincia comincia a decantarne le gesta, diventa un eroe e un simbolo. Kowalski semina le autorità sprintando con la sua macchina truccata, buttandole fuoristrada o infilandosi nel deserto, tra santoni e hippies drogati e un sole spaccapietre che il regista illumina con grazia divina (la fotografia è del mitico John Alonzo). E se infatti è invecchiata male l'ideologia dell'amore libero e della giovinezza come tana-libera-tutti che percorre praticamente ogni film del gruppo, ciò che resta ancora urgente, sublime e decisamente contemporaneo in Punto Zero è proprio la indubbia capacità di far «respirare» allo spettatore gli spazi: Sarafian riprende lo smisurato srotolarsi dell' outback a stelle e strisce con maestria documentaristica, rendendo onore alla magnificenza del paesaggio americano.
Film pochissimo parlato (il protagonista, impersonato da un bravissimo Barry Newman, pronuncia solo una decina di battute) è interamente sostenuto da un folgorante tappeto musicale di musica country, gospel, funky e soul. Kowalski corre assurgendo a ultimo eroe di una nazione straziata, reduce da una guerra (quella del Vietnam) che ne ha ridotto in pezzi la società e indebolito le certezze, e come l'America finirà per schiantarsi epicamente.
«Nessuno si chiede più quando Kowalski si fermerà, ma CHI riuscirà a fermarlo!»

4 commenti:

Anonimo ha detto...

che film pazzesco sei andato a rimembrare. Bello, puro anni '70 (la tipa nuda in moto poteva essere figlia solo di quel periodo...)

Elica

sartoris ha detto...

@Elica la tipa nuda ok, ma soprattutto quando la stessa, tutta fascnosa e invitante, dice al protagonista "Chiedimi qualunque cosa", e lui, sboronissimo "mi basta una sigaretta!" (agli americani 'ste cose piacciono da impazzire;-)

Anonimo ha detto...

visto ieri su tuo consiglio. Te l'appoggio. Di brutto ;-)

PIPPO

sartoris ha detto...

ecche? Non lo sapevo ti sarebbe piaciuto, Pippo? (madò l'hai già scovato? E che velocità di connessione c'hai?) ;-)