domenica 2 maggio 2010

Boschi e bifolchi...

Ok, i dialoghi sono spesso risibili e la dozzinale computer-grafica di cui si abusa per sopperire alla mancanza di pecunia non aggiunge alcun mordente alla sequela di squartamenti che disseminano il film, però questo Wrong Turn 3: Left for Dead (Declan O'Brien, 2009), realizzato straight to video, ha inaspettatamente più di qualche freccia infilata nel suo arco. Terzo (e con tutta probabilità non definitivo, visto il successo) capitolo di una saga imperniata su una famiglia di rednecks cannibali e mutanti il cui capostipite, firmato da Rob Schmidt, risale all'ormai lontano 2003, (il secondo è Wrong Turn 2 - Senza via di uscita, qui recensito dal sempre scrupoloso Elvezio Sciallis) la pellicola in questione si apre con una trionfale mattanza di teenagers allupati, e questa è la prima nota di rilievo: capovolgendo infatti quella che è la prassi nei film appartenenti a questo club, gli insopportabili giovinastri vengono accantonati in quattro e quattr’otto grazie ad uno spassoso prologo ad alto gradiente di emoglobina (e una spruzzatina di tette, altra componente imprescindibile per ogni horror degno di questo nome).
A seguire il regista fa irrompere nella scena i veri protagonisti del film: si tratta di un drappello di galeotti in fase di transizione da una prigione ad un carcere di massima sicurezza, ed è piacevole scoprire che, pur rispettando la più classica delle caratterizzazioni dei prison-movie più gettonati (il latinoamericano taciturno che trasuda carisma animalesco, il pelato borioso e filonazista, il pervertito fissato con la gnocca e infine l'innocente condannato più o meno ingiustamente), la fauna carceraria sia tratteggiata dagli sceneggiatori con notevole maturità, preferendo un approccio serio a quello volutamente iperbolico spesso riscontrabile in prodotti di questa fattura. Un'altra innovazione di non poco conto consiste nella riduzione del numero dei bifolchi assassini: se nel predecessore avevamo questa famiglia mutante esageratamente «allargata» (con un proliferare azzardato di fratelli e cugini deformi) ora, a parte un nanetto sfigurato presto mandato al creatore in malo modo, il cattivone di turno è uno solo: quel «Tre Dita» dalla luciferina risata che già nel primo episodio si era saputo distinguere per efferatezza e che qui assurge - congruamente - a degno Uomo Nero della situazione. Certo, la recitazione degli attori è quel che è, e talvolta la vicenda sembra un po' ripiegare su sé stessa, ma nel complesso il plot è ben ritmato e si regge su una idea solida di sviluppo; ottimo per allietare un pomeriggio piovoso in compagnia di una bella birra fresca tenendo bene a mente di spegnere il cervello durante la visione.

2 commenti:

Elvezio Sciallis ha detto...

Sì, non è granchè ma almeno c'è gente adulta in giro e non quattro ragazzi urlanti.
Non mi è piaciuto nemmeno l'inserimento a muzzo della tizia, ma pazienza.

Andando invece su cose serie, ti raccomando Van Diemen's Land e Cella 211 (non ricordo se ne hai parlato in precedenza, nel caso scusami), entrambi visioni molto interessanti...

sartoris ha detto...

Van Diemen's Land mi aveva già colpito nella tua recensione e penso che lo vedrò appena possibile. Di Cella 211 un po' dubitavo, però siccome non fate che parlarne tutti bene vorrà dire che mi toccherà vederlo :-)

Comunque alla saga dei Wrong Turn in fondo ci sono affezionato: l'idea della estremizzazione cafona e mutante dei rednecks di Deliverance mi ha sempre affascinato...