Seconda prova narrativa per Tony Sozzo, giovane autore salentino, che pubblica Nolente ancora una volta per Lupo Editore. Dopo L’eterna cosa peggiore, ritorna la prosa limpida e secca, con l’irrinunciabile gusto per l’allusione - più che per la citazione esplicita - di uno scrittore che ammette senza remore di amare le opere in cui sia distinguibile la voce dell’autore. Ed è innegabile che nei testi di Sozzo, anche nei racconti brevi pubblicati in giro, sia forte la presenza di un io che assorbe, mastica e rimanda al lettore ogni brandello di realtà circostante. Ogni cosa - l’intera storia - viene filtrata attraverso l’esercizio continuo (estenuante?) dell’ironia amara e spiazzante del protagonista. Un protagonista che, come nel primo romanzo di Sozzo, ha consapevolezza e orgoglio a proposito della propria condizione di inetto moderno. Inadatto alla vita, un po’ arreso e barricato dietro la propria cultura senza confini. Che sia Dante o l’Uomo Ragno, cambia poco: essenziale è mettersi al riparo. Anche sotto un letto che, in fondo, è il posto più vicino al centro della terra.
Val poco parlare della trama, dell’intreccio: primo, perché accade pochissimo, e i pochi colpi di scena vanno lasciati lì dove sono, dietro gli angoli, senza rovinare la sorpresa al lettore; secondo, perché appunto non è tanto l’intreccio che interessa a Tony Sozzo; la «trama» qui è quella intrapresa dal fiume interiore, dall’epica tutta interna del protagonista, che solo dentro se stesso è capace di assumere un profilo - perché no - in qualche modo eroico. Purché tutto, per merito di quell’ironia che crea ponti tra mondi lontanissimi, tutto possa essere rovesciato e sacrificato sull’altare della leggerezza. (contributo di Marco Montanaro)
Tony Sozzo • Nolente (LUPO Editore)
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