Enzo G. Castellari è oggi uno dei maestri del genere nostrani maggiormente rivalutati dalla critica (grazie anche alle sperticate lodi dell'amico Quentin Tarantino, cresciuto a suon di filmacci italiani di tutti i tipi). Nel 1982, dopo aver sperimentato abbondantemente e con successo il western, il bellico, il poliziesco e il peplum, l'autore romano si dedicò al nascente genere post-atomico (di fatto collaborando a divulgarlo nel nostro paese) con questo 1990: I guerrieri del Bronx, primo film di una trilogia (che comprende anche I nuovi barbari e Fuga dal Bronx.) Questi lungometraggi, sottoprodotti ultracheap di fantasy apocalittica che pescano a piene mani dai gang-movies come il capostipite di Walter Hill (I guerrieri della notte) e da John Carpenter (1997-Fuga da New York) furono molto apprezzati all'estero arrivando perfino ad ottenere un buon successo di cassetta (incredibile: all'epoca in cinema italiano ancora vendeva! E non deve stupire visto che proprio Castellari aveva già calato l'asso in questo senso guadagnando fiumate di denaro con L'ultimo squalo, sorta di fotocopia de Lo squalo 2 ma girato per paradosso con maggiore professionalità e ritmo dello originale).
Con un budget risicatissimo e un manipolo di attori cari ai B-Movies 1990: I guerrieri del Bronx venne girato interamente nel cuore del vero bronx - all'epoca realmente pericolosissimo - riuscendo a catturare una visione inquietante del quartiere degli «slums» e aggiungendovi un tocco epico (ma all'amatriciana) con la collocazione temporale del futuro post-atomico. Imperdibili le Harley Davidson decorate con teschio (vistosamente posticcio e plastificato) sul manubrio, un granitico - quanto inebetito - Mark Gregory protagonista indiscusso del film (nonché nell'altrettanto cheap Thunder), oppure l'apparizione beffarda dell'eroe dei western George Eastman, qui con parruccone corvino. Il montaggio ed una regia dai ritmi forsennati fanno il resto, accompagnati da una sceneggiatura del fido Dardano Sacchetti, mai così divertita ed aperta a sperimentazioni (i differenti stili che caratterizzano le gang sono da manuale del trash). Tutto funziona in maniera lineare ed oliata, facendone un meccanismo filmico tanto riuscito da permettere allo spettatore persino di dimenticare il senso del ridicolo involontariamente sfiorato in numerosi momenti del plot (caratteristica assai cara al poverissimo cinema del Belpaese di quegli anni, e a quello di Castellari in particolare, la cui indiscutibile abilità è però sempre riuscita a compensare la povertà dei mezzi). Colonna sonora efficacemente incalzante e ritmata (molto anni '80, chiaro!)
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