venerdì 21 giugno 2013

Cavalcano ancora...

A Hollywood le Colt si rimettono periodicamente a crepitare, grazie a Dio. Rianimatosi a seguito della drastica cura australiana di Dominik e Hillcoat, il western, genere per antonomasia dato più e più volte per defunto - e in realtà sopravvissuto magnificamente attraverso i mille rivoli del poliziesco (ma in America c'avevano pensato serie televisive come Deadwood, Hell on Wheels e  Hatfield & McCoys a tener viva la memoria, nonché i Coen alle prese col lavoro su McCarthy e tutto il new-western) - è tornato nell'ultimo decennio in grande spolvero al cinema con alcuni discreti titoli (qui e qui qualche esempio).
Ed Harris, attore dalla bella faccia solcata da un reticolo di rughe autentiche, infarcisce il suo secondo film da regista Appaloosa (2008) di rinvii sotterranei allo spaghetti-western, sia pure passati col filtro del cinema classico di Ford o, forse ancora meglio, di quello di Hawks. Tenendo ben salde le redini della storia, il regista costruisce una Frontiera molto maschia giocando con la scala dei campi e dei piani: dai campi lunghissimi al campo medio, dalla figura intera al primo piano, richiamando l'attenzione dello spettatore sul mondo fisico intorno ai personaggi o concentrandolo sulla psiche del personaggio evocato nel quadro. Cole e Hitch, i due pistoleri protagonisti della storia scritta dal romanziere Robert Parker, sono specialisti nel ripulire le città dalla feccia. Arrivano in una cittadina del New Mexico (Appaloosa, appunto) per portare a termine il loro lavoro con un turpe e vezzoso capoclan (Jeremy Irons, efficace e antipatico come al solito nel definire un villain che spara e cita poeti e scrittori). Anche la pianista Renée Zelwegger sbarca in città (con tanto di citazione della Cardinale in C'era una volta il west) mettendosi in mezzo fra sceriffo e vicesceriffo, mostrandosi però assolutamente incapace di fedeltà. Di fedele c'è solo l'amicizia virile tra i protagonisti, fedele fino quasi all'amore (come in Ultima notte a Warlock, però, dove Anthony Quinn e Henry Fonda hanno l'un per l'altro un trasporto che non travalica mai nel contatto fisico alla Brokeback Mountain). Il taciturno personaggio del vice, impersonato da un grandioso Viggo Mortensen, «ama» con discrezione l'altrettanto taciturno personaggio dello sceriffo impersonato da Harris: «Sono una vecchia coppia che cavalca insieme da una dozzina d'anni», li definì al Festival di Roma lo stesso Harris, e il paradosso è che nel loro precedente film assieme, History of Violence, i due erano praticamente nemici estremi. Fra di loro, sarà il personaggio di Mortensen a sacrificarsi per l'altro, togliendo di mezzo il cattivo Irons, che è soprattutto il concorrente di Harris per le grazie sfiorite della donzella (il teatrino con l'attrice risulta in realtà l'unica nota stonata della pellicola, forse proprio per la pochezza della Zelwegger, qui liftata in maniera assurda e attraente quanto un tubero lesso: ma questo è il problema di tanto western contemporaneo. Anche Costner, che pure è uno specialista del campo, nello splendido Open Range non aveva saputo imbroccare la giusta tensione proprio sul versante sentimentale). Solido e roccioso, il film è uno spettacolo quasi perfettamente riuscito, soprattutto nelle scene d'azione. Qualche taglio qua e là forse avrebbe giovato.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ottimo western!
(PIPPO)

sartoris ha detto...

buono, certo, belle facce. Niente a che vedere con roba come GLI SPIETATI, ovvio, ma sicuramente una cosa bella da vedere...