Non bisogna lasciarsi abbindolare dai paramenti storici con cui il talentuoso Paul T. Anderson agghinda la sua ultima, fenomenale opera. Il petroliere è infatti un film dell'orrore, né più né meno: perché mette in scena, snuda senza ritegno l'orrore della rapacità facendone il fulcro ideologico di una vicenda paradigmatica e, in soldoni, eminentemente «politica». Il film (tratto dal libro Oil di Upton Sinclair) comincia con un quarto d'ora di cinema assoluto: picconate silenti e implacabili che frantumano le regole dell'odierno intrattenimento. Un rullo compressore che sbriciola tutto: rocce, muscoli, ossa - riducendo in polvere tutta la retorica autoreferenziale della Fabbrica dei Sogni. Non un dialogo, né alcuna soluzione ammiccante, solo la musica che diventa un tarlo mentre accompagna una sequela di inquadrature taglienti (mai come in questo film Anderson tiene salda la cinecamera in un disciplinato esercizio di autocontrollo). Esiste solo l’avidità, una insana febbre di possesso che divora la fatica, il dolore e qualsiasi altra impellenza. La macchina da presa si fonde con la dimensione della bramosia, scavando la pietra, riuscendo a «trovare la parola» solo nel momento in cui l'anelata ricchezza è finalmente raggiunta. There Will Be Blood (questo il titolo originale): è un montante scoccato in faccia allo spettatore senza divagazioni allegoriche particolarmente complesse. Plainview (un Daniel Day-Lewis irraggiungibile, meritatamente Oscar) è lo specchio neanche troppo deformato degli Stati Uniti. Il piccolo H.W. (Dillon Freasier) è il pellerossa ridotto al mutismo, segregato nelle riserve contro la propria volontà. Henry (Kevin J. O’Connor) è l’immigrato inoffensivo che cerca di sopravvivere tra gli stenti. Ely (Paul Dano, infuocato sino all'epilessia e al contempo tentennante) è il predicatore di una religione con lo sguardo al cielo e la mano sul portafogli. Con le sue trivelle, le sue tubature tentacolari che succhiano al mondo ciò che c’è da succhiare, Daniel Plainview impersona il Grande Assetato che ostinatamente non si placa - né si placherà - fino a quando non avrà fatto tabula rasa d'ogni impedimento: sia esso cosa o persona. «Ho finito» è la frase beffardamente pronunciata dal petroliere un secondo prima dei titoli di coda. Ho finito di distruggere ogni cosa ma non ho fatto altro che reiterare la legge che sostiene il mondo: l'uomo uccide l'uomo, uccidendo sé stesso.
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