mercoledì 23 aprile 2008

Maschio Adulto Solitario

«Se penso a me diretto a nord mi vedo come uno di quegli animali nei film di Walt Disney mentre camminano nella tormenta di neve abbandonando il caldo della propria tana diretti a testa e orecchie basse verso un punto ignoto del crudele mondo dei cartoon. In realtà non lasciavo niente e non andavo verso niente, l’equazione era bilanciata. Presi un treno, un giorno, da una stazione e scesi in un’altra stazione. I capistazione di entrambe le stazioni ferroviarie avevano berretto rosso e la giacca da carta da zucchero. Un fischio per partire e un fischio per arrivare. La stazione di arrivo era solo un po’ più grande ma da lì sloggiai subito per raggiungere una stazione più piccola, periferica. Poi presi un autobus e venni scaricato davanti a un campo di granturco. Il freddo c’era che mica bastava mettere le mani in tasca; eppure non era molto in là, l’autunno. Intorno avevo foglie marce e l’odore di fertilizzante. Le facce erano anonime e squadrate e le donne fa’ che non avevano gambe e non avevano curve perché si blindavano in impermeabile color nulla e calosce. Avevo un foglietto con il nome della fabbrica e il numero di telefono di un tale conoscente di Anselmo. Ma ’sto conoscente di Anselmo s’era messo con una peruviana e questa gli aveva incasinato la vita e al telefono mi disse cose vaghe ma il senso era chiaro: problemi per entrare in fabbrica zero, ma da lui mani tese manco a parlarne. Anzi, lui non ci lavorava prorpio più, alla Dresden. Lui viveva con ’sta femmina, una specie di califfa e allora… d’accordo.

Ricominciamo da capo, prego.

Ero sceso da un autobus davanti a un campo di granturco e alle mie spalle c’era un cubo di cemento armato grande come il mondo. Non sapevo dove mi trovavo e non lo volevo sapere. Non era importante, capite? Ero fuori sulla parola; dovevo solo trovarmi un rifugio antiatomico e aspettare. Aspettare cosa? Domanda non pertinente: me lo chiedo ancora oggi.»

 MASCHIO ADULTO SOLITARIO, 
Cosimo Argentina - (Manni edizioni).

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