venerdì 28 marzo 2008

Che profumo ha l'estate salentina?

(riciccio una riflessione della mia amica Elisabetta Liguori riguardo il libro Salento's Movida, di Armando Tango)

Davanti ad un libro ricco come questo spesso, chissà poi perché, ci si sente obbligati a far discorsi di genere. Un giallo, un noir, un thriller? Cosa è questo Salento’s Movida scritto da Armando Tango per la Glocal editrice alla fine del 2007? Questioni come queste presupporrebbero una distinzione puntuale; si dovrebbe procedere cautamente per tesi e antitesi, per categorie letterarie rigorose, così da sperare di puntualizzare modalità e fini narrativi in via definitiva. Onestamente io non credo che una simile operazione abbia davvero un senso, quando si parla di letteratura. In teoria un giallo, nel quale l’individuazione del colpevole resta centrale, dovrebbe avere come fine la rassicurazione del lettore, il ripristino dell’ordine e la conquista di una qualche verità; diversamente il noir, che si nutre del caos, dovrebbe rappresentare un momento di rottura e di denuncia sociale. In altre parole affermando che il giallo consente una placida e attiva evasione, finiamo per dire che il noir mira invece ad invadere la sfera conoscitiva ed emozionale del lettore e a turbarla. Ma allora Armando Tango? A cosa mira Armando Tango? Evade o invade? A mio avviso questo suo romanzo rappresenta un ottimo esempio di fusion letteraria: qui i generi come le finalità si contaminano, svago e denuncia diventano occasione e non pretesto, la città narrata si muove a metà tra il bello o l’orrido, l’abbandono e il lusso, il degrado e il disimpegno più glamour. Qui non conta il fine, ma il mezzo e il modo. Il mezzo è l’osservazione. Il modo sta nella vastità, nell’articolazione, nell’intensità della stessa osservazione. Il carattere fortemente distintivo di un’opera come questa, dunque, non è il genere, ma il luogo. Quest’ultimo, assieme all’autore, parla attraverso la bocca dei personaggi. Un gran bel luogo, ricco di stimoli, stupore e dubbi. Un territorio poliforme che riesce ad essere, nello stesso tempo, sporco ed eroico e quindi ancor più autentico, in quanto fortemente contraddittorio. È per questo che il romanzo di Armando Tango, per scontro persistente, tinte accese, divertimento crudo, dinamicità e mito, mi par più vicino al buon vecchio genere western e ai suoi sterminati affreschi. Chissà cosa ne avrebbe detto Sergio Leone, ma questo nostro sud polveroso sembra ormai prendere proprio quel suo storico immenso ghigno. Si pensi a quello che ne aveva fatto Omar Di Monopoli nello scorso anno con il suo «Uomini e cani». Il sud dei cani di Di Monopoli era un sud ancestrale, animalesco, primitivo nei luoghi come nelle emozioni, mentre il Salento di Tango è una pancia lussureggiante, gravida di trasformazioni, fortemente contemporanea. Non è infatti un caso che tra i personaggi chiamati a dare movimento alla storia ci siano due icone del potere televisivo. Maurizio Costanzo e Maria De Filippi: sono loro gli astri intorno ai quali per caso e per progetto, tra festini, intrighi, fraintendimenti, cene luculliane e gite in barca, s’avvoltola il peggio e il meglio della città di Lecce. La vicenda narrata da Tango è pura fantasia, ma non lo è il mondo che la partorisce. La Tivù, quella vera e quella di provincia, i sogni inconsistenti dei ragazzetti di periferia, delle starlette sfigate coi jeans a vita bassa, dei fotografi assetati di luci, i giri grossi e quelli piccoli, la borghesia bene coi suoi motoscafi carichi di commercialisti o principi del foro, il giro delle feste, quello del malaffare, o degli stranieri. La vecchia malavita che si barcamena tra nuovi linguaggi tecnologici e vetusti eccessi di violenza. I nuovi poveri ingenui opposti ai vecchi ricchi osceni. Tutto così è rivelato e quindi condiviso. La scelta di Tango è senza dubbio coraggiosa perché localizzata con chirurgica precisione e perché chiamata a far da specchio a quella che è la realtà sociale nazionale. La sua Lecce è vera, non più segreta e lontana, e si muove lungo coordinate comunali categoriche:
1) il cuore storico della città e la sua movida frenetica:
2) la zona 167, la parte più appassita, totalmente dimenticata dalle amministrazioni quanto dalla gente;
3) le arterie provinciali o rurali, la campagna ancora frizzante di grilli e di emozioni primordiali;
4) la costa marina, il suo smeraldo, le sue albe acide, le sue terrazze snob, il suo turismo variegato. Ad ogni ambiente corrisponde un diverso personaggio. Una diversa tipologia d’uomo. La storia di questo romanzo, dunque, è una sorta di giostra che gira intorno al fulcro cittadino e sembra voler rispondere ad un unico quesito: cosa sta diventando il Salento e la sua gente? La risposta è appassionata, l’intreccio necessario e travolgente, rispondente ai canoni stilistici del thriller ma non solo a quello. La voce narrante mescola ad una rabbiosa indignazione, onde di sana nostalgia. Dopo un inizio assolato, apparentemente quieto, il ritmo narrativo si fa via via più vorticoso. La giostra comincia a girare ad un ritmo quasi ipnotico. I personaggi creati da Tango si alternano capitolo dopo capitolo sempre più rapidi e nonostante il loro turbinare conservano fino alla fine potenza tridimensionale. Le loro personalità s’intrecciano le une con le altre, in un gioco sapiente di equivoci che passa con grande abilità dai toni tragici a quelli grotteschi, mentre l’occhio dello scrittore, amaro e consapevole, vigila e tiene in scacco il lettore pagina dopo pagina. Un occhio che sembra conoscere molto bene i vizi segreti dei luoghi scelti. La movida per esempio. Una dimensione tipica delle ultime estati salentine. Una novità che sta mettendo in connessione il sud con il mondo, alterandone la struttura dall’interno e appiattendola. Osservare la città che s’anima di notte è come fissare negli occhi il figlio storpio di una globalizzazione incerta. Non oggetto, ma soggetto, la movida descritta da Tango è capace di incidere sulla percezione dei luoghi da parte dei numerosi protagonisti della storia, sui loro desideri, sui loro umori. Ha vita propria. Una movida torrida, pacchiana, assordante, che ogni personaggio vive in modo diverso: come ostacolo, come furto, come opportunità, o come nemico. Una forma di modernità qui narrata come contrasto. E sono appunto i contrasti il punto di forza di questa scrittura: gli uomini che la abitano, pur mossi dagli stessi istinti, quali potere, riscatto, denaro, fama, rivincita, hanno dimensioni umane diverse, reazioni diverse. Il loro è un sentire condizionato dal clima, dal rumore, dalla cultura mediatica e non, e dalla storia di provenienza di ciascuno, quindi contrastante. In questa terra caratterizzata da tale acceso conflitto tra vecchio e nuovo, tra silenzio e rumore, tra innocenza e dolo, in un primo momento Tango sembra voler scindere nettamente il bene da male, ma poi sceglie di riportare il tutto ad una dimensione di nebuloso disinganno e la giostra ad un momentaneo stop. Ogni suo personaggio trova un diverso epilogo.

Come vuole sempre la vita, posta davanti alle sue migliori occasioni perdute.

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