non ci sono, in realtà, «piccoli incidenti» in Little Accidents (2014), un oscuro drama minerario diretto dalla giovane regista e scrittrice statunitense Sara Colangelo e tratto da un suo precedente cortometraggio premiato al Sundance.
Il film, che vede tra i protagonisti Elizabeth Banks e Josh Lucas, è ambientato sugli Appalachi, in una sperduta città della West-Virginia colpita da un gravissimo incidente: dieci uomini sono deceduti sottoterra mentre cercavano carbone per conto di una multinazionale. Il disastro ha lasciato un solo superstite, Amos Jenkins (Boyd Holbrook in una performance toccante, mai sopra le righe). Ma la pellicola, intensa e molto ben realizzata anche se naturalmente soggetta alla letargica scansione ritmica tipica degli indie americani, racconta altre vicende, in primis - ed è il secondo «incidente» tutt'altro che minuto - la storia della sparizione del figlio di uno dei dirigenti dell'azienda di estrazione.
Mesi dopo l'incidente il minatore sopravvissuto viene dimesso, ancora in parte paralizzato ma in grado di camminare. Le famiglie delle vittime vorrebbero che testimoniasse circa le cattive condizioni di lavoro di modo da ottenere un congruo risarcimento, mentre il resto della città teme la chiusura dell'unica fonte di sostentamento del paese e lo vorrebbe silente. Al suo devastante travaglio, molto ben reso, si aggiunge - viaggiando in parallelo - quello dell'adolescente Owen (Jacob Lofland uno dei due dotatissimi ragazzi del film Mud), il cui padre è stato ucciso nell'incidente e che introietta con il classico mal di vivere dei ragazzini un dolore che si porta appresso in famiglia già da prima della scomparsa del genitore, dovendo infatti occuparsi di un fratello, Jimmy (Beau Wright), che ha la sindrome di Down. I destini dell'uomo e dell'adolescente finiranno per incrociarsi con quello della madre del ragazzo scomparso (la bella Banks, smessi finalmente i panni di allegrona cheerleader di tante commediole, dimostra di saper recitare con piglio ammirevole) e tutti finiranno, quasi faulknerianamente, per pagare il proprio pegno di dolore alla vita.
La Colangelo è assai brava a evocare l'atmosfera di questo minuscolo mondo montano, con tutti i comfort di quei pochi che hanno svoltato e l'amarezza e la disperazione che ricoprono invece gli operai alla stregua della polvere che quotidianamente questi immettono nei propri polmoni (la lunga striscia degli Appalachi, come ci ricordano i bellissimi racconti di Pancake, è tra le zone più depresse dell'intera nazione). La regista lascia che le cose si aggroviglino per accumulo tra paesaggi fronzuti e brume industriali, salvo srotolare il bandolo della matassa con lineare naturalezza. I segreti e le sofferenze di ognuno dei personaggi, grazie e soprattutto in virtù della bravura di un ottimo cast, vengono a galla con plausibilità, anche se la mano forse tecnicamente ancora poco sciolta dietro la macchina da presa qualche volta fa sentire il suo peso, togliendo qualche dose di empatia alla tragedia. Ma restano impresse l'angoscia e l'incomunicabile lotta interiore delle parti in gioco. Il direttore della fotografia Rachel Morrison e il resto della squadra di produzione, tra cui lo scenografo Chris Trujillo e costumista Meghan Kasperlik, hanno saputo catturare un senso di rassegnazione e stanchezza che alla fine, anche se non tutto quadra, resta attaccato alla pelle di chi guarda. Nel complesso un sì: molte cose valide e decisamente un augurio di eccellenza per il futuro dell'autrice.
La Colangelo è assai brava a evocare l'atmosfera di questo minuscolo mondo montano, con tutti i comfort di quei pochi che hanno svoltato e l'amarezza e la disperazione che ricoprono invece gli operai alla stregua della polvere che quotidianamente questi immettono nei propri polmoni (la lunga striscia degli Appalachi, come ci ricordano i bellissimi racconti di Pancake, è tra le zone più depresse dell'intera nazione). La regista lascia che le cose si aggroviglino per accumulo tra paesaggi fronzuti e brume industriali, salvo srotolare il bandolo della matassa con lineare naturalezza. I segreti e le sofferenze di ognuno dei personaggi, grazie e soprattutto in virtù della bravura di un ottimo cast, vengono a galla con plausibilità, anche se la mano forse tecnicamente ancora poco sciolta dietro la macchina da presa qualche volta fa sentire il suo peso, togliendo qualche dose di empatia alla tragedia. Ma restano impresse l'angoscia e l'incomunicabile lotta interiore delle parti in gioco. Il direttore della fotografia Rachel Morrison e il resto della squadra di produzione, tra cui lo scenografo Chris Trujillo e costumista Meghan Kasperlik, hanno saputo catturare un senso di rassegnazione e stanchezza che alla fine, anche se non tutto quadra, resta attaccato alla pelle di chi guarda. Nel complesso un sì: molte cose valide e decisamente un augurio di eccellenza per il futuro dell'autrice.
8 commenti:
Michele La Zecca cerca di staccare la rassegnazione dalla pelle con una spugnetta comperata nella Standa di una vecchia canzone di Baglioni ed esce dalla doccia arrossato come un gamberone di quelli che serviva nella sua trattoria a prezzi modici quel granitico ancorché anziano razzista di suo zio Giulio Blon che dal nord aveva portato un cognome da personaggio di Diabolik e la convinzione che i terroni fanno bene la pizza e che se una bettola funziona dalle loro parti, allora sarebbe stato possibile aprirla a cavallo del meridiano zero o su Marte.
Indossa una maglietta nera con un teschio bianco stilizzato ed esce in strada puntando la pistola come fosse un arrogante biglietto da visita.
Sono Mosaico Noir, pensa, e ho incastrato tutte le tessere nella mia zucca prima di mostrarmi nella mia leggendaria, epica prepotenza.
Quella allegrona di Bella Palla Colangelo, adiposa ex cheerleader , nel vedere il vicino lascia cadere la confezione da sei di acqua lievemente frizzante e diuretica ed una minerale rotola lenta ai piedi della Zecca.
- Hai una pistola o sei semplicemente contento di vedermi ? - sogghigna Bella Palla. Dalle finestre risponde un coro di risate in crescendo.
La Zecca è biotto dalla cintola in giù. Troppa la urgenza di vivere e punire. Piccoli incidenti che cambiano il segno di una giornata. So goes life.
@Crepa buon lunedì :-)))))
Buon lunedì anche a te ed ai tuoi lettori
Oioioi. Sembra buono. Mi ispira. Avevo detto che avrei visto anche Mud e non l'ho ancora visto. Adesso ne ho per un po' di ore :)
Luigi però Mud è una spanna superiore a questo. Che cmq vale... quindi si, alla fine è opportuno tu li veda entrambi 😊
Muda, casualmente, l'ho visto la settimana scorsa.
Questo l'ho visto l'altro ieri, dopo averne leggiucchiato qui in seguito alla visione della faccetta del ragazzino, che mi ricordavo bene.
Adesso che ho visto il film, sono tornata a leggermi tutto il post con calma e attenzione. Condivido tutto, e ringrazio per il consiglio :-D
Muda sta per Mud, ovviamente...
@Annalisa lieto come al solito di trovarti concorde nel giudizio :-) (ovviamente, anche se non lo fossi andrebbe bene comunque, ma questo è sottinteso:-))))
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