il nuovo post-apocalittico non può prescindere dall'Australia.
Laggiù, alle desolate latitudini del suo sconfinato outback, sono germinati i prodromi del genere (do you remember George Miller? Se solo pensiamo al suo imminente reboot di Mad Max ci sale una scimmia di proporzioni stratosferiche) e da un trentennio a questa parte quei luoghi sono il fulcro e l'ispirazione di ogni declinazione cinematografica di un futuro a brandelli (ne avevamo parlato pochi mesi fa in questa occasione).
Laggiù, alle desolate latitudini del suo sconfinato outback, sono germinati i prodromi del genere (do you remember George Miller? Se solo pensiamo al suo imminente reboot di Mad Max ci sale una scimmia di proporzioni stratosferiche) e da un trentennio a questa parte quei luoghi sono il fulcro e l'ispirazione di ogni declinazione cinematografica di un futuro a brandelli (ne avevamo parlato pochi mesi fa in questa occasione).
Quattro anni dopo il sorprendente esordio (Animal Kingdom), David Michôd torna alla regia con The Rover (passato a Cannes 67°), da un soggetto scritto insieme all’attore Joel Edgerton (tra i protagonisti del suo film precedente).
Il «vagabondo» del titolo è Eric (il solito, ruvido Guy Pearce), solitario e silenzioso, totalmente incurante di quanto accade attorno a sé. Fino a che tre balordi, in fuga da un colpo finito male, non gli rubano l'automobile. Sarà l'inizio di una caccia che, come da facile previsione, finirà nel sangue.
La complessità e lo scavo del film precedente lasciano spazio ad una storia più essenziale che insuffla di un cupo e fascinoso pessimismo una visione allargata all'intero pianeta: il regista abbandona il degrado urbano di Melbourne e ci catapulta nel deserto australiano, «dieci anni dopo il collasso», come recita il cartello introduttivo. Il sipario si apre su un western dopo-catastrofe suggestivo e iperviolento, un compatto road movie debitore di tante cose (The road, tratto da McCarthy, per esempio) in cui un uomo determinato - anche se perseguitato da un senso di colpa e di profondo disincanto che emergeranno solo sul finire della vicenda - cerca di raggiungere ed eliminare fisicamente chi lo ha derubato in uno spazio che è scarnificato come l'anima di chi lo attraversa.
Il film funziona egregiamente quando si concentra sulla linearità degli eventi, un po' tedia quando si sofferma sugli astratti battibecchi tra i due protagonisti, ma alla fine convince e cattura per l'impianto visivo carico di una violenza esistenzialista che quando esplode, fa davvero rumore. Tra le molte qualità del progetto c'è un Robert Pattinson che si carica di un ruolo complesso che ricopre con la sicurezza dell'attore consumato ma non corroso dal glamour della saga di Twilight. Ottimo.
2 commenti:
All'inizio del corso di storia del fumetto, l'insegnante era stato chiaro ( " è una materia collaterale, non pretendo che alziate nemmeno il naso dal foglio sul quale state tratteggiando l'arte sequenziale del futuro, ma pretendo puntualità ! " ) e anche quel giorno d'inverno, era quasi mezzodì e sembrava il crepuscolo, Robert Pattinson era stato segnato assente sul registro.
" Sta girando quella fiction di vampiri yuppies anni ottantissima innamorati con la regia di Santa Lory " disse Milla Miller, cupo bonsai di darkissima cosplayer della Death di Gaiman che riempiva ettari di papiro di emo-derivate alla deriva quando il mondo fosse collassato.
"Pat" Pattinson entrò mentre l'insegnante stava spiegando quale differenza ci fosse tra l'outback di The Maxx di Sam Kieth e le altre produzioni della Image Comics del tempo. Dalla prima fila, Tizio Pirs ( " come accidenti si chiamava ? era sostanzialmente la somma della sua divisa da vagabondo chapliniano e del suo sguardo da predatore ) obiettò che la deriva di Kieth fortunatamente non aveva prodotto una pletora di opere masturbatorie che confondono le declinazioni della navigazione nello inner space con il tentativo di circumnavigare ossessivamente il proprio ombelico. L'insegnante non avrebbe saputo cosa ribatttere e stava x chiamare al telefono Sam , ma non voleva disturbarlo mentre progettava la storia di due scimmie di proporzioni stratosferiche tutte prese in astratti battibecchi ( " come farà ? tecnicamente sarà un campo e controcampo continuo come quelli che Bendis infligge ai suoi disegnatori ? ").
Pat si sedette al suo posto e disse che intendeva scrivere e disegnare un graphic novel su di un tronista che prende il posto di un re ( " la favola dell'acciarino magico riveduta ai tempi della vita in diretta " ).
Potrebbe funzionare. Chissà. Vedremo.
Crepa: a parte i tuoi spassosi giochi narrativi Patterson è in questo film molto molto bravo ;-)
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