«Era stata una giornata grigia, un'estate grigia, un'annata grigia. Per strada i vecchi indossavano il cappotto, e nei Giardini del Lussemburgo, mentre passavano Temple e suo padre, le donne sedevano a lavorare a maglia avvolte nei loro scialli e anche gli uomini che giocavano a croquet giocavano in cappotto e mantelline, e nella triste oscurità dei castagni il secco schioccare delle palle e le grida occasionali dei bambini avevano un che di autunnale, di coraggioso ed evanescente e desolato. Da dietro la rotonda con la sua spuria balaustra greca, rappresa di movimento, pervasa da una luce grigia dello stesso colore e della stessa tessitura dell'acqua che la fontana si divertiva a far ricadere nella vasca, veniva una continua cascata di musica. Proseguirono, oltrepassarono la vasca dove i bambini e un vecchio con un misero cappotto marrone facevano navigare le loro barchette, e entrarono di nuovo sotto gli alberi e trovarono da sedersi. Immediatamente una vecchia arrivò con decrepita prontezza a riscuotere quattro sous.
Sotto il padiglione, una banda vestita del blu orizzonte dell'esercito suonava Massenet e Skrjabin, e Berlioz come una leggera spalmatura di torturato Čajkovskij su una fetta di pane stantio, mentre il crepuscolo si dissolveva in umidi barlumi dai rami, sul padiglione e sui funghi severi degli ombrelli. Ricchi e sonori gli ottoni si abbattevano e morivano nello spesso crepuscolo verde, rotolando su di loro in tristi onde opulente. Temple sbadigliò al riparo della mano, poi tirò fuori uno specchietto e lo aprì su un visino in miniatura imbronciato, scontento e triste. Suo padre le sedeva accanto, le mani incrociate sul pomo del bastone, la rigida barra dei baffi perlata di umidità come argento ghiacciato. Temple richiuse lo specchietto, e da sotto l'elegante cappellino nuovo parve inseguire con gli occhi le onde della musica dissolversi negli ottoni morenti, al di là della vasca e dell'antistante semicerchio di alberi dove, a severi intervalli, meditavano le morte, tranquille regine di marmo maculato, e via verso il cielo che giaceva prono e vinto nell'abbraccio della stagione della pioggia e della morte.»
Santuario - William Faulkner (Ed. Adelphi)
4 commenti:
Lo sai che proprio oggi ho iniziato "Luce d'Agosto"?
Faulkner crea delle immagini che si fissano nella memoria e non puoi più dimenticare talmente sono evidenti a se stesse.
Ne ho letto solo due pagine e sono già immersa nella storia ( e mi succede poche volte)!
Ciao Omar
@Anto la scrittura di Faulkner è ipnotica, non facile sicuramente, ma piena di descrizioni e ritmo che ti avvolgono sino a creare dipendenza :-)
(cioè, prendi anche solo le ultime tra o quattro righe di questo post: poesia pura!)
Ultimamente stai tornando spesso a citare certi classici a te carissimi, da Steinbeck a Faulkner. Magari te li stai rileggendo tutti. Magari i Faulkner te li rileggi una volta l'anno :)
E questa torna prepotentemente a farmi riflettere sul fatto che diversi romanzi di questi due autori, io non li ho mai letti. E devo metterci una pezza.
P.S.: Ohé. A corredo del post stavolta mi hai piazzato lì la cover di un audiolibro? La dicitura "Read by" me lo fa supporto piuttosto e anzichenò.
@bicco: un blog intitolato a Sartoris (personaggio e romanzo seminale del vate del Mississippi) non può prescindere dal segnalare periodicamente la grandezza di Faulkner... e cmq sì, lo rileggo di continuo... quando penso che la letteratura non potrà mai contenere la vita mi immergo tra le sue pagine e mi lascio abbacinare... :-))
Posta un commento