Un uomo da niente, Einaudi 2013.
Pacific City. Clinton Brown, giornalista del Courier, (capo Dave Randall, direttore Austin Lovelace), “menomato” dalla guerra (praticamente privo di virilità), bottiglia di liquore incollata alla bocca. Un uomo da niente. Ex moglie puttanona che l’adora e che farà una brutta fine. Manoscritti incompiuti. «Sei una persona triste» dice la bellona di turno che si innamora di lui.
Poi c’è il detective Lem Stukey per dare una “ripulita” dei poveracci alla città. Simbolo di corruzione, mazzette a go-go, messo a nudo il marcio della società.
E la ex moglie prende fuoco (nel senso che viene proprio bruciata). Occorre trovare l’assassino in ogni modo, ne va del buon nome della città. Ossessivo sbevazzone il nostro Clinton alterna momenti di lucidità e sofferenza “perché le cose andavano in un certo modo e non potevano andare altrimenti”. Seguono altri morti ammazzati che proprio se la cercano.
Racconto duro, ritmo veloce, un po’ di filosofia sparsa in qua e là «la virtù non ha valore se non è messa alla prova». In prima persona come detective e assassino. Ma alla fine un dubbio serpeggia nella nostra mente “Storia vera o frutto di delirante follia?”.
Colpo di spugna, Einaudi 2014.
Nick Corey è lo sceriffo di Potts County nel Texas. 1280 anime compresi i neri che l’anima proprio non ce l’hanno. A raccontarci la storia sbrindellata in prima persona è lo stesso sceriffo sbrindellato. D’altra parte la sua infanzia non è stata rosa e fiori con il padre che lo riempiva di botte se tanto tanto riusciva ad acchiapparlo. Pure da sposato “botte” psicologiche dalla moglie Myra che lo considera un buono a nulla e presa di culo di certi balordi papponi. Urgono provvedimenti a colpi di pistola. Così imparano.
Nick è lo sceriffo giusto nel posto giusto. Non strazia i coglioni a nessuno e triplice salto mortale (sul letto) tra Myra, Rose e Amy che il sesso va via come il pane. A rompere le uova nel paniere Lennie, fratello di Myra, stupido occhieggiatore solitario. Se c’è da difendere il proprio posto di lavoro durante le elezioni basta creare ad arte delle dicerie sull’avversario di turno e il gioco è fatto. Niente inferni privati per Nick. Sono tutti pubblici e «tutti condividiamo quelli degli altri e tutti gli altri condividono i nostri». A volte il vuoto che si riempie di cose orribili; figlie stuprate dai padri (vedi Henry Clay), mogli picchiate dai mariti, bambini che bagnano i letti per la paura, facce chiazzate dallo scorbuto, i debiti, la fame. Ma solo per un attimo.
È talmente strambo il Nostro che ci sta a pennello in una società degradata basata sul porco razzismo e meschino calcolo personale. Da un inizio buffo si prosegue lungo una scia di tragedia mortuaria esaltata da una scrittura cinica e sghignazzante. A fine lettura come Nick non sappiamo cosa fare. Se sorridere di tutto l’ambaradan pulpesco o fermarci un attimo a pensare. O entrambe le cose. Inutile fare paragoni con altri scrittori. Come afferma Lansdale nella introduzione Jim Thompson è stato un caso a parte. Lasciamolo lì. Da solo. E togliamoci il cappello.
Diavoli di donne, Einaudi 2014.
«Ero sceso dall’auto e stavo correndo verso la veranda quando la vidi. Sbirciava dalle tendine della porta-finestra, e un lampo illuminò per un istante i vetri scuri, incorniciandole il viso come in un ritratto. Certo, non era un capolavoro: tutto fuorché una bellezza. Ma c’era qualcosa in lei che mi prese subito al laccio. Inciampai in una crepa dell’asfalto e ci mancò poco che finissi per terra. Quando alzai di nuovo gli occhi era sparita, e le tendine erano immobili».
Inizia l’avventura di Frank “Dolly” Dillon, commesso viaggiatore in una città dell’America profonda, raccontata in prima persona. Chiaro che suona alla porta, aspettandosi di rivedere quel viso. Niente da fare. Davanti a lui «una vecchia zitellaccia con un naso a becco da rapace e gli occhietti ravvicinati e cattivi». Però sua nipote c’è in casa e può pagargli un bel servizio di posate, secondo la strega. Come? In quel modo, via. Si chiama Mona Farrell, giovane sfruttata che si appoggerà completamente a lui per cercare uno spiraglio di vita.
Dunque Frank, Mona e la moglie Yoice, «una puttana pigra ed egoista». Aggiungo Staples «un piccoletto sulla cinquantina, brizzolato, grassoccio, con una bocca dai tratti quasi infantili», suo datore di lavoro dal tono «pacato, tranquillo, mellifluo». E ci metto pure Pete Hendrickson in debito con la ditta di Staples che farfuglia con le parole. Bastano e avanzano per costruire una storia assurda e di disperata follia. Soprattutto se al centro dell’attenzione ci sono centomila dollari, buoni pure oggi ma favolosi negli anni Cinquanta.
Insomma questo Frank vive in una casa, o meglio in una “topaia di quattro stanze” con un giardinetto pieno di erbacce. Topaia sudicia da far schifo che la mogliettina non fa un tubo. Gancio sinistro e il rapporto si spezza. Come si spezza il rapporto con Staples (fregare sui conti non va bene per niente). Un po’ di galera, via, ma poca poca che la “baldracca” della moglie mette a posto le cose rifondendo i quattrini rubati (perché è ritornata?). E qui mi fermo.
Personaggio sontuoso il nostro Frank, nel senso della costruzione: piagnucola sulla sfortuna della sua vita, si contorce cercando di uscire dal letamaio in cui sguazza con la ragazza che si è afferrata a lui, trova giustificazioni assurde ai delitti che compie nel destino crudele avverso, perde il senso della realtà tra whisky e birra fino al delirio e allo sdoppiamento finale imprevedibile.
Un libro che prende e ci scaraventa nell’oscuro abisso dell’uomo.
[pezzo by Fabio "Boss" Lotti]
4 commenti:
Thompson, semplicemente un genio pulp. Mi unisco al triplice consiglio (ma qualsiasi testo dell'autore merita la lettura)
PIPPO
@Pippo, da queste parti Thompson è una istituzione, se ti fai una ricerca nei post vedrai che sono tanti quelli dedicati a questa leggenda del pulp :-)
Ellallà, qui si toccano proprio i pezzi da 90. Thompson sarebbe da leggere tutto a prescindere.
P.S.: Ma quant'è bella quella cover di Ferenc Pinter?
Anche su Pinter ovazione a prescindere :-)
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