Erano gli anni Settanta e George Romero aveva già consegnato agli annali del terrore le sue ambulanti fantasie macabre, ma gli zombi dei fumetti venivano ancora influenzati da dettati ancestrali, figli cioè del vudù, delle fatture stregonesche e della magia haitiana prima ancora che della scienza depravata delle incarnazioni a venire.
Sorvolando sulla sua primissima apparizione (Menace, un racconto breve firmato da Stan Lee e Bill Everett che risale 1953), il morto vivente targato Marvel face la sua comparsa ufficiale nella splendida Tales of the Zombie, serie stampata tra il 1973 e il 1975, scritta inizialmente da Roy Thomas e Steve Gerber e disegnata da illustratori del calibro di John Buscema e Pablo Marcos.
Garth era in queste pagine il primo presidente nonché fondatore della Garwood Industries, una fabbrica di caffè di New Orleans. Ha una bellissima figlia a carico, Donna, che un giorno protegge dalle libidinose avances del giardiniere Gyps. Licenziato in tronco (dopo una bella ripassata a fior di sganassoni) dal suo principale, l'uomo per vendetta rapisce e poi toglie la vita a Simon quindi costringe Layla, una sacerdotessa vudù - che lavorava come segretaria di Garth e di questi era innamorata - a riportare in vita il suo boss sotto forma di walking dead affinché diventi il proprio schiavo.
Dalle coordinate narrative della vicenda risulta quindi palese quanto il revenant della Marvel si muovesse ancora all'interno di una cornice etno-magica assai agli antipodi rispetto all'iconografia attuale, tutta virus chimico incontrollato e spirito survival. Basti pensare al ruolo focale nello svolgimento degli eventi ricoperto dal talismano del dio serpente Damballah: un monile forgiato in duplice copia di cui una viene posta al collo della vittima, l'altra invece in possesso di chi la terrà alla propria mercé (è una dinamica, a dirla tutta, molto à la The Mummy, piccolo culto Hammer con Christopher Lee). Gyps però è un inetto e perde l'amuleto nel giro di poco tempo lasciando che il morto - illuminato da una istintuale scintilla di memoria - si vendichi uccidendolo per poi mettersi a deambulare per il paese senza meta.
Il prosieguo della saga vedrà lo zombie sfrisare più volte il destino di Donna, vanamente alle costole del padre, e incontrare numerosi personaggi dalle esistenze grame quando non tragiche. L'amuleto passerà di mano in mano mentre il muto cammino di Simon finisce in più occasioni per cozzare con le mire di un malvagio gangster il quale si serve delle pratiche vudù per i propri scopi criminali. Alla fine, Layla darà la vita affinché Simon possa resuscitare per un giorno e riconciliarsi con la figlia e la ex moglie Miranda (ma anche per chiudere la partita col villain, decisamente un imago distorto e criminale di ciò che Simon era prima del trapasso) e poter quindi riposare definitivamente in pace.
In un twist conclusivo ad alto gradiente emozionale, scritto da un ancora poco noto Chris Claremont, ogni trama della tela è perfettamente rifilata e la tessitura finale premia il lettore senza riserve. Simon si erge a metafora di un uomo “morto” sin da prima che il suo giardiniere lo accoppasse, e le traversie vissute dal suo alter ego disossato finiranno per redimere il dispotico e glaciale businessman ch'era stato in vita.
Anche stilisticamente questo fumetto va segnalato per un approccio particolarissimo che ne determina il fascino senza tempo: lo srotolarsi degli eventi viene scandito infatti da alcune didascalie in terza persona (davvero inusuali per un fumetto di quell'epoca), e il narratore, con un originale espediente letterario, si rivolge direttamente al protagonista chiamandolo per nome per incitarlo, rimproverarlo o esortarlo ad agire. La somma di questi elementi contribuisce a regalare ad un cadavere semovente una speciale, struggente personalità poetica, pur senza lesinare, quando la tensione della storia lo richiede, in crudeltà splatter. Resta su tutte l'indimenticabile sequenza in cui lo zombie si trascina fino alla sua fabbrica con piglio deciso, scala un cancello elettrificato e va a sedersi sulla poltrona imbottita del suo vecchio ufficio: circondato dal lusso, ma irrimediabilmente solo, da trapassato così come da vivo. Tales of the Zombie è una piccola perla figlia di anni in cui l'horror stava mutando forma, un fumetto recuperato solo in parte, qualche anno fa, dalla collana da edicola Dark Side della Gazzetta dello Sport.
Poi qualcuno nel 2006/7, siccome i morti viventi si portano di nuovo parecchio, ha pensato bene di ammodernare questo minuto gioiellino per realizzarne due graphic novel dal pretestuoso taglio innovativo: il risultato è una miniserie in due tronconi, The Zombie: Simon Garth (firmate da Mike Raicht e disegnate con tratto gotico e macfarlaniano da Kyle Hotz ed Eric Powell) che non sembra aggiungere nulla all'originale e anzi, sfrutta malissimo il potenziale amalgamandolo alla ormai consueta deriva apocalittica della genesi dei mangiavivi, nel bel mezzo dei quali troviamo questo morto vivente particolarmente empatico che sembra possedere un'anima e che, per l'appunto, conserva solo il nome del suo progenitore disegnato ma ha ben poco a che vedere con il personaggio. Godibile come ennesima variatio della Z-Nation, ma niente de chè.
Sorvolando sulla sua primissima apparizione (Menace, un racconto breve firmato da Stan Lee e Bill Everett che risale 1953), il morto vivente targato Marvel face la sua comparsa ufficiale nella splendida Tales of the Zombie, serie stampata tra il 1973 e il 1975, scritta inizialmente da Roy Thomas e Steve Gerber e disegnata da illustratori del calibro di John Buscema e Pablo Marcos.
Garth era in queste pagine il primo presidente nonché fondatore della Garwood Industries, una fabbrica di caffè di New Orleans. Ha una bellissima figlia a carico, Donna, che un giorno protegge dalle libidinose avances del giardiniere Gyps. Licenziato in tronco (dopo una bella ripassata a fior di sganassoni) dal suo principale, l'uomo per vendetta rapisce e poi toglie la vita a Simon quindi costringe Layla, una sacerdotessa vudù - che lavorava come segretaria di Garth e di questi era innamorata - a riportare in vita il suo boss sotto forma di walking dead affinché diventi il proprio schiavo.
Dalle coordinate narrative della vicenda risulta quindi palese quanto il revenant della Marvel si muovesse ancora all'interno di una cornice etno-magica assai agli antipodi rispetto all'iconografia attuale, tutta virus chimico incontrollato e spirito survival. Basti pensare al ruolo focale nello svolgimento degli eventi ricoperto dal talismano del dio serpente Damballah: un monile forgiato in duplice copia di cui una viene posta al collo della vittima, l'altra invece in possesso di chi la terrà alla propria mercé (è una dinamica, a dirla tutta, molto à la The Mummy, piccolo culto Hammer con Christopher Lee). Gyps però è un inetto e perde l'amuleto nel giro di poco tempo lasciando che il morto - illuminato da una istintuale scintilla di memoria - si vendichi uccidendolo per poi mettersi a deambulare per il paese senza meta.
Il prosieguo della saga vedrà lo zombie sfrisare più volte il destino di Donna, vanamente alle costole del padre, e incontrare numerosi personaggi dalle esistenze grame quando non tragiche. L'amuleto passerà di mano in mano mentre il muto cammino di Simon finisce in più occasioni per cozzare con le mire di un malvagio gangster il quale si serve delle pratiche vudù per i propri scopi criminali. Alla fine, Layla darà la vita affinché Simon possa resuscitare per un giorno e riconciliarsi con la figlia e la ex moglie Miranda (ma anche per chiudere la partita col villain, decisamente un imago distorto e criminale di ciò che Simon era prima del trapasso) e poter quindi riposare definitivamente in pace.
In un twist conclusivo ad alto gradiente emozionale, scritto da un ancora poco noto Chris Claremont, ogni trama della tela è perfettamente rifilata e la tessitura finale premia il lettore senza riserve. Simon si erge a metafora di un uomo “morto” sin da prima che il suo giardiniere lo accoppasse, e le traversie vissute dal suo alter ego disossato finiranno per redimere il dispotico e glaciale businessman ch'era stato in vita.
Anche stilisticamente questo fumetto va segnalato per un approccio particolarissimo che ne determina il fascino senza tempo: lo srotolarsi degli eventi viene scandito infatti da alcune didascalie in terza persona (davvero inusuali per un fumetto di quell'epoca), e il narratore, con un originale espediente letterario, si rivolge direttamente al protagonista chiamandolo per nome per incitarlo, rimproverarlo o esortarlo ad agire. La somma di questi elementi contribuisce a regalare ad un cadavere semovente una speciale, struggente personalità poetica, pur senza lesinare, quando la tensione della storia lo richiede, in crudeltà splatter. Resta su tutte l'indimenticabile sequenza in cui lo zombie si trascina fino alla sua fabbrica con piglio deciso, scala un cancello elettrificato e va a sedersi sulla poltrona imbottita del suo vecchio ufficio: circondato dal lusso, ma irrimediabilmente solo, da trapassato così come da vivo. Tales of the Zombie è una piccola perla figlia di anni in cui l'horror stava mutando forma, un fumetto recuperato solo in parte, qualche anno fa, dalla collana da edicola Dark Side della Gazzetta dello Sport.
Poi qualcuno nel 2006/7, siccome i morti viventi si portano di nuovo parecchio, ha pensato bene di ammodernare questo minuto gioiellino per realizzarne due graphic novel dal pretestuoso taglio innovativo: il risultato è una miniserie in due tronconi, The Zombie: Simon Garth (firmate da Mike Raicht e disegnate con tratto gotico e macfarlaniano da Kyle Hotz ed Eric Powell) che non sembra aggiungere nulla all'originale e anzi, sfrutta malissimo il potenziale amalgamandolo alla ormai consueta deriva apocalittica della genesi dei mangiavivi, nel bel mezzo dei quali troviamo questo morto vivente particolarmente empatico che sembra possedere un'anima e che, per l'appunto, conserva solo il nome del suo progenitore disegnato ma ha ben poco a che vedere con il personaggio. Godibile come ennesima variatio della Z-Nation, ma niente de chè.
8 commenti:
Bel pezzo. Aggiungo che le didas erano un escamotage che la Casa delle Idee , nello stesso periodo, utilizzò x un altro personaggio che parlava poco ( anche se spiccicava almeno qualche parola a differenza dello zombotto ) ovvero lo Shang Chi di Englehart/Starlin ( nato dal rifiuto della DC di lanciare un fumetto sull'onda del successo del telefilm Kung Fu con Dave Carradine ) + famoso x la run di Moench ( Moon Knight & Bats )e Gulacy ( emulo di Steranko di cui sacrifica la combo pop di stilemi pubblicitari e della pittura alla Dalì x riprendere il segno, famoso x anche Batman, ha disegnato persino 007).
Mi piaceva e mi piace Marcos anche se non è riuscito - ma si trattava di cosa che avrebbe fatto tremare i polsi anche a disegnatori maggiormente lovecraftiani - a rendere men che buffo il ragnone peloso che il ns Simon deve affrontare ( sequenza anche nel volume allegato alla Gazza citato ndr ). X-Chris - lo sanno i true believers brizzolati o x cui i capelli sono ormai un lontano ricordo - prima dei mutanti che ereditò da Len Wein fece una luuunga gavetta su testate come Marvel Team Up , Iron Fist e
Ms. Marvel. Garth era decisamente nelle sue corde e ricordo almeno una intervista in cui diceva di essere grato ai suoi x-cosi, sebbene si considerasse uno scrittore capace di scrivere anche altra roba.
Tante teste eccetera , ma non mi è spiaciuto il volumetto con le due miniserie del 2006/7. Segnalo solo che Hotz è considerato da due decenni scarsi ( Nightman x la Malibu Comics , Ghost Rider 2099 ) un emulo di Kelley Jones ( Sandman , Deadman , la trilogia del Batman vampiro ). Jones deforma maggiormente le anatomie e fa un maggior uso di supporti fotografici. Hotz - parere personale e sindacabilissimo - ha studiato il lavoro del disegnatore underground Rand Holmes ed è noto x aver co-creato The Hood ( Parker Robbins , uno zero del mondo criminale, si imbatte in una cappa magica e diventa il nuovo Kingpin durante l'ascesa al potere di Norman Osborn in storie più o meno del periodo in cui usciva anche il rilancio di Garth ).
Se non ricordo male, una delle due mini di Garth è anche sceneggiata da Kyle. Una curiosità: in gg in cui è difficile che un creativo si azzardi a creare un personaggio x una major ( uno dei picchiatelli in costume + popolari della Marvel è il Soldato di Inverno ovvero il Bucky Barnes del 1941 creduto morto e tornato come sicario cyborg e dormiente dei russi ! ) Hotz ha co-creato Wrath, una specie di sergioleonino Straniero senza Nome che si muove nel sottocomparto cosmico tra Kree, Skrulls ed altri alieni.
@Crepa, sapevo che un pezzo sul fumetto avrebbe sfrucugliato il tuo interesse :-)
(leggiti anche, se hai tempo, il pezzo su Carmilla: è esaustivo e ben scritto)
Caspita. La ristampa della serie originale sulla collana Dark Side della Gazzetta mi era proprio sfuggita.
Va là, guarda lì com'è che mi parli bene anche dei fumetti :) Ti farò pervenire presto una ricca e firmatissima petizione dove si invocheranno a gran voce più post del genere (oltre a quelli soliti, insomma).
P.S.: Dalle mie parti, comunque, la stessa generazione che citi (anche la mia) era quella che apparteneva a pieno diritto al solo e unico Super Santos :D
@Bicco il Super Santos era già troppo avanti per noi poveracci :-) (conosco bene il mondo dei comics del ventennio 70-90, poi ho cominciato a interessarmene in maniera meno approfondita (troppi speciali, troppe case editrici, troppi autori dotati: un'esplosione di cose - belle - che invece di appassionarmi mi ha bloccato - non dimenticare che nasco fumettista! aspirante tale, almeno. Nella letteratura ho trovato uno spazio meno ansiogeno, un luogo in cui potermi esprimere senza troppe preoccupazioni)(o almeno, così credevo, ovviamente anche in questo settore c'è chi ti staccherebbe le gambe a morsi pur di passarti avanti:-)
Caro mio, le tue origini ormai le conosco (ricordo anche qualche preziosa testimonianza fotografica gentilmente concessaci, con te in bandana alle prese con un murales). Naturalmente mi riferivo alla media dei post sul fumetto, qui sul tuo blog, rispetto agli altri. Ma va benissimo così. Piuttosto ricordo che tempo fa avevi promesso di mostrarci anche certi tuoi vecchi disegni riposti con cura nel cassetto dei ricordi. Noi si sta ancora aspettando :)
P.S.: Il super santos costava un po' di più, è vero (1000 lire o giù di lì). La questione è che in colletta si è sempre preferito quello perché a dare un calcio al super tele non sapevi proprio dove potesse finire, tanto era preda del caso. Il super santos era spesso e pesante. Se lo beccavi di sguiscio, sulla lunga distanza poteva anche rispondere bene all'effetto desiderato. Quello per "bambini ricchi" (sempre per modo di dire) era il Tango. Con quello ci rifilavi le teste :)
@Luigi prometto che posto qualcosa (ho qualche remora ma in fondo ero un rEgazzino quindi sono giustificato) mo oggi e domani sarò off line (mi tocca ancora l'ospedale:-)
Bellissimo post che leggo con colpevole ritardo, mi accodo a Luigi dicendo: "parlaci d'amore Mariù", no, scusa, non era questa, era "parlaci di fumetti Omar (accento sulla a), peccato che la serie storica dello zombie sia irreperibile, si continua a ristampare sempre lo stesso materiale recente e certe chicche... vabbè, tanto se verrà editato costerà uno sproposito e non potrò comunque comprarlo, quindi...
@firma ti ringrazio ma in realtà per quanto sia cresciuto a pane e comix sento di avere un gap conoscitivo abbastanza ampio delle più recenti produzioni. Cmq quando possibile inserisco sempre riferimenti all'arte sequenziale:la mia narrativa viene da là (per buona parte, almeno:-)
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