(quattro chiacchiere con lo scrittore Carlo Mazza, barese, classe 1956. Con il personaggio di Antonio Bosdaves ha già pubblicato per la collezione Sabot/age il poliziesco Lupi di fronte al mare, incentrato sulle relazioni tra politica, finanza e sanità, e finalista al Festival Mediterraneo del Giallo e del Noir 2012. Da qualche mese è in libreria il suo ultimo parto Il cromosoma dell'orchidea.)
1) caro Carlo, partiamo dal principio: come arrivi al romanzo noir e da quanto tempo scrivi?
Ho sempre amato scrivere ma per molti anni l’ho fatto con discontinuità e disordine. Poi, una decina d’anni fa ho iniziato a cimentarmi nella scrittura teatrale, per puro piacere e senza velleità artistiche: ho scritto un dramma religioso sulla vita di santa Rita da Cascia (e l’ho anche messo in scena come regista). Poi ho proseguito, ma sempre con uno spirito amatoriale. Nel 2011 ho avvertito il bisogno di narrare la realtà e ho pensato che le modalità della trama poliziesca erano le più adatte a realizzare questa esigenza. Così è nato il mio primo romanzo, Lupi di fronte al mare.
2) Le tue storie, come molte di quelle di tuoi illustri colleghi, parlano di Meridione e di criminalità dedicando uno spazio considerevole alla bellezza tradita dei luoghi in cui si consuma il malaffare: è possibile oggi scrivere di Sud senza pagare il pegno a una certa visione pessimistica, fatta di lacerazioni e corruttela?
Assolutamente sì, e mi piacerebbe farlo. Ma in un Paese come il nostro, nel quale i mass-media restituiscono una realtà artefatta e di comodo, credo sia fondamentale colmare il vuoto di verità che ne consegue e affondare la penna nelle tematiche più spinose. Ad ogni modo, l’opportunità di narrare il Sud in modo brillante mi attira molto, mi piacerebbe prima o poi scrivere i dialoghi di una commedia all’italiana moderna, tipo quelle di Virzì.
Assolutamente sì, e mi piacerebbe farlo. Ma in un Paese come il nostro, nel quale i mass-media restituiscono una realtà artefatta e di comodo, credo sia fondamentale colmare il vuoto di verità che ne consegue e affondare la penna nelle tematiche più spinose. Ad ogni modo, l’opportunità di narrare il Sud in modo brillante mi attira molto, mi piacerebbe prima o poi scrivere i dialoghi di una commedia all’italiana moderna, tipo quelle di Virzì.
3) D'altro canto, una certa idea oleografica e persino fatata delle terre del Sud - del nostro Sud pugliese in particolare - in questi anni di eccezionale successo turistico sembra aver tracimato contaminando la realtà e inducendo i media a trasmettere una idea assai inaffidabile di questi luoghi: o sono il ricettacolo di ogni male o sono la terra del divertimento puro e dell'incanto, senza via di mezzo. Qual è l'atteggiamento di uno scrittore dinanzi a questa bizzarra forma di rappresentazione?
Effettivamente, siamo narrati, e ci narriamo, con un atteggiamento… provinciale. È come se da noi non potessero svolgersi storie “compiute” a prescindere dal territorio, ma solo vicende mediate dalle peculiarità dei luoghi. Personalmente, questa tendenza mi pare soffocante e, nel mio piccolo, scrivendo Il cromosoma dell’orchidea ho cercato di muovere un piccolo passo che secondo me procede in una direzione opposta, superando la logica del localismo ingombrante e preferendo invece riferimenti ai luoghi di natura meno esplicita e più allusiva.
4) parliamo di lingua e di stilemi: nei tuoi romanzi la componente dialettale ha un'importanza notevole ma non mi sembra la si possa dire dominante nella costruzione dell'impalcatura narrativa. Il tuo è un modo di procedere molto cinematografico, un incedere nel quale, credo, il vernacolo si amalgama senza sforzo al resto grazie soprattutto alla tua abilità di scrittore, nel tentativo di restituire quanto più fedelmente possibile la realtà che ti interessa descrivere... è così?
Approfondisco la risposta precedente. Io credo che il “dove” della narrazione, che non deve essere decisivo ma neppure del tutto assente, debba desumersi dalla musicalità del linguaggio, dalle aspirazioni dei personaggi, dalle descrizioni del clima. Invece oggi il localismo consiste spesso nell’utilizzare la toponomastica di una determinata città nella descrizione, per dimostrare che la storia narrata è tipica di Bari, Roma o Napoli, anche se magari si tratta di una vicenda che potrebbe avvenire ovunque. Rispondendo in modo preciso alla tua domanda, credo che il linguaggio (dialetto o lingua italiana con impronta vernacolare) sia solo una tessera del mosaico narrativo, una modalità tecnica da usare con misura e giudizio al servizio della narrazione, e non debba mai diventare un elemento dominante.
5) cosa dobbiamo aspettarci nel futuro da Carlo Mazza?
La scrittura per me è un’attività continua, che non si interrompe mai. Credo di avere ancora molte energie da spendere e, d’altra parte, la realtà fornisce stimoli formidabili.
7 commenti:
E' un bancario, sacripante. Una fila si snoda davanti al suo sportello - la vecchina che sogna di investire la sua pensione in un astuccio di matite x la nipotina e sarà rapinata tra poco come nel DK di Miller, il garzone di bottega di marlonbrandiana memoria mandato dal padrone x riscuotere i sospesi, il tumistufiomondo che non vede l'ora di chiudere, rumorosamente, il conto - ed il signor Mazza se ne sta davanti al suo pc sognando i dialoghi di Addio alle Armi, la confluenza dei personaggi di Ammaniti ed il nero sociale di Carlotto. Pfui. Eppure Qualcuno da Qualche Parte ha deciso di seminare chiodini sulla sua strada appioppando ai suoi lupini di mare - Verga state of mind x uno che si chiama Mazza, immagino - una cover che nemmeno la Becco Giallo. Evidentemente è tanto bravo da passare indenne attraverso un ostacolo che avrebbe fermato Kafka, Proust, Joyce ( un altro dei suoi pallini ndr ) e quel tale che scrive sempre cose come scusa se ti chiedo scusa. Invidia. Tempo fa ero riuscito a convincere un editore di quelli che non hanno gli uffici in uno scantinato senza finestre e con il nome del publisher scarabocchiato su di un post-it sulla porta a stampare il mio romanzo di pura bizarro fiction su di un mazzo di orchidee aliene che infestano l'ufficio di Nero Wolfe, ma in copertina il grafico - credeva di essere Ferenc Pinter, ma era al massimo un clone del Castelli dell'Omino Bufo - ebbe la sciagurata idea di infliggere ai potenziali lettori la foto di un contadino cinese che lanciava in aria venti chili di zafferano. Non vendetti nemmeno una copia. E Crepascola mi restituì la sua. Cattivi. Tutti.
@Crepa: fermo restando che sono più che abituato, prmai, alla carica di ironia (e autoironia) che immetti nei tuoi commenti scavezzacollo, mi permetto di sottolineare che Carlo Mazza è stato scoperto da Carlotto, quindi la sua opera è DAVVERO, fuor di parodia, una sorta di prosecuzione in chiave barese di quel filone. E sulle copertine di E/o mi sento di dire che hanno da sempre questa impronta "pinteriana", non sempre riuscitissima ma di forte - e riconoscibile - identità :-)
Le storie dell'Alligatore sono state ristampate con le covers di Igort ( che ha disegnato anche una storia con il personaggio di Carlotto qualche anno fa ). Auspico x il signor Mazza una ristampa con copertina di Corona, Gipi o qualche altro Coconino Boy.
Pensare ed usare termini come corruttela e scavezzacollo ( chissà se sarebbe oggi + amato Matt Murdock nel ns Paese, se la Editoriale Corno avesse osato tradurre Daredevil come aveva fatto x Spider-Man ) è davvero spettacolo raro. Bravo.
@Crepa, a volte tu dimentichi che di mestiere scrivo :-) (ammesso che possa chiamarsi mestiere farsi le pippe mentali ogni giorno di più:-))))
Non dimentico. Pensa a me come ad un archivista borgesiano con lo chassis dell'antiquario di Mort Cinder ( Breccia è diventato trent'anni dopo il clone del personaggio che disegnava quando era ancora giovane ndr ) e che ha accesso ad info che sono filtrate indenni persino attraverso la rete elettronica. So che hai proposto il tuo primo romanzo alla Giochi Preziosi confidando che il tuo cognome fosse un jolly da giocare. So che per anni hai pensato di scrivere la storia di un alligatore scavezzacollo che lascia la terra dei cajun con il suo amico Joe. R. Lansdale x impiegarsi come bancario nel Texas State of Mind. So che Carlotto Corruttela era il nome di lavorazione della tua idea di un Howard Cunningham trapiantato in un Salento non eleografico dove faceva la cresta come maresciallo del magazzino casermaggio di una caserma operativa. E se queste sono le info che oso pubblicare, immagina cosa ha nel mio Schedario Nero...
Io ho i lupi di Mazza fermo sul comodino da tempo. Sarà ora che lo cominci...
PIPPO
@Crepascolo: "Carlotto Corruttela" sembra una di quelle allitterazioni tipiche dei comics (Peter Parker, Reed Richards, Silver Surfer:-)
@Pippo: facce sape' dai, il libro merita! (d'altronde, se ce l'hai sul comodino lo avrai pur comprato:)
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