«Dunque volevo scrivere di questo scrittore che ho scoperto grazie a un incontro sulla spiaggia per presentare il suo ultimo libro. È Omar Di Monopoli che era al Molo TreZero in una delle mille freddissime sere di questa estate e che lì ha toccato con mano il suo libro fresco di stampa...
Una raccolta di racconti nel suo stile che, ho scoperto, viene definito vagamente “western”, lui ha questo mito della letteratura del sud statunitense che mescola all’elemento noir e grottesco con l’effetto di scrivere storie pazzesche, con personaggi che definire disadattati sarebbe un eufemismo, in famiglie violente, comunità intrise di odio e rancori, giovinezze spezzate, corpi derisi. In tutto questo, riesce a fare (anche) molto ridere. Ma tutti questi ingredienti che potrebbero (ed è sicuramente il rischio che maggiormente corre) portare a un stile un po’ di maniera, sono raccontati con una lingua che incanta, densissima, a tratti faticosa. Un mix di dialetto salentino e di italiano forbito a tratti aulico che non disdegna la poesia. Una meraviglia. Una sovrabbondanza a cui non siamo abituati, una, oserei dire, spavalderia (linguistica) davvero mirabile. Questa raccolta di racconti arriva dopo tre romanzi, ma in un certo senso è un romanzo in sé anche se le storie cambiano di epoca, ambientazione, genere, il loro perimetro poetico è chiarissimo e il medesimo (oltre che quello geometrico). Storie per chi è in cerca di emozioni forti e non certo del libro in cui ritrovare la propria quotidianità (se quella dei protagonisti è la vostra quotidianità siete probabilmente semi-analfabeti)». [qui l'originale]
Una raccolta di racconti nel suo stile che, ho scoperto, viene definito vagamente “western”, lui ha questo mito della letteratura del sud statunitense che mescola all’elemento noir e grottesco con l’effetto di scrivere storie pazzesche, con personaggi che definire disadattati sarebbe un eufemismo, in famiglie violente, comunità intrise di odio e rancori, giovinezze spezzate, corpi derisi. In tutto questo, riesce a fare (anche) molto ridere. Ma tutti questi ingredienti che potrebbero (ed è sicuramente il rischio che maggiormente corre) portare a un stile un po’ di maniera, sono raccontati con una lingua che incanta, densissima, a tratti faticosa. Un mix di dialetto salentino e di italiano forbito a tratti aulico che non disdegna la poesia. Una meraviglia. Una sovrabbondanza a cui non siamo abituati, una, oserei dire, spavalderia (linguistica) davvero mirabile. Questa raccolta di racconti arriva dopo tre romanzi, ma in un certo senso è un romanzo in sé anche se le storie cambiano di epoca, ambientazione, genere, il loro perimetro poetico è chiarissimo e il medesimo (oltre che quello geometrico). Storie per chi è in cerca di emozioni forti e non certo del libro in cui ritrovare la propria quotidianità (se quella dei protagonisti è la vostra quotidianità siete probabilmente semi-analfabeti)». [qui l'originale]
3 commenti:
Squillò il telefono, risposi e una voce che non riconobbi, ma all'alba non riconoscerei quella di mia madre quand'anche avesse la pessima abitudine di chiamarmi all'alba, disse: " Molo tre zero. Al crepuscolo. "
Quando ero nella Legione Straniera, uno sten di fusto verde entrò in camerata alle sei urlando che era ora di marciare nel fango con trenta chili di zaino sulle spalle e Delon gli fece saltare uno zigomo con il suo Bowie Knife: aveva mirato alla gola, ma era stato svegliato di soprassalto e non era lucido e mortale as usual. Bowie, che occupava la branda + vicina a quella di Alain, ridacchiò mostrando la sua dentatura sgangherata, quasi avesse dei micro faraglioni avvitati alle gengive. Alle sei si dorme.
Chiamai la mamma e la ringraziai x non aver preparato mai la colazione prima delle nove. Mi maledisse per averla svegliata alle sei.
Il molo tre zero era ripieno di semi-alfabeti dai corpi derisi dalla sorte. Se fossi stato attento a non proferire verbo - mi ero nutrito x anni della auto fiction di Dave Sedaris - mi sarei mimetizzato perfettamente tra quelle carcasse sbilenche . Nessuno mi aveva mai scambiato x Delon o x Bowie, ma pazienza.
Era in corso il solito sabba: un sacerdote con il muso di Peter Lorre e lo chassis di un T-Rex recitava brani scelti da un Necronomicon x beginners nomato Aspettati l'inferno x evocare un perimetro poetico. Con mia grande sorpresa - ero convinto che sarebbe apparsa, as usual, l'ombra di Nick Tesla con il testo rivisto da Toto' dei Carmina Burana - nel crepuscolo morente si materializzò uno stormo di angelini, i bonsai di Gabriele, i mini-me di Azrael, che decollarono immediatamente alla volta della città, un Eldorado a la finale di Gateway - il romanzo, non il film - in cui vivevano criminali facoltosi, fino a che finivano i dindi.
Entrarono cantando nelle casette. Erano le sei. Portavano la salvazione universale e furono accolti da una salva di pallini. Peccato.
Come ti ho detto via sms, letto e piaciuto. E pensa che mi mancava ancora l'ultimo racconto, il bellissimo omaggio a Tremors ;)
Bello, davvero bello. Ma tanto poi ne parlo.
Un abbraccio, guagliò.
@Luigi grazie fratello, devo dire che mi sta dando molte soddisfazioni e ne sono assai contento (ne parlano ovunque molto bene, a parte su aNobii, dove qualche scontento pronto a dire peste e corna di tutto si trova sempre:-)
@Crepa, avrai capito che non rispondo talvolta ai tuoi adorabili vaneggiamenti solo perché bastano e avanzano di per loro stessi :-))))))
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