giovedì 19 giugno 2014

il concetto di frontiera...

Uscito in libreria ormai da cinque anni ma assolutamente da recuperare nei remaindersLe frontiere del Far West è un agile oltreché interessantissimo saggio curato da Stefano Rosso, docente di Letteratura Angloamericana che assieme ad Antonio Scurati coordina il Gruppo di ricerca sui linguaggi della guerra e della violenza all'università di Bergamo.
Il volume, che raggruppa interventi di vari studiosi della materia, si interroga sulle proteiformi articolazioni del western dalla fine dell'Ottocento ai giorni nostri (cinema, teatro, letteratura, geografia), soffermandosi su una rilettura critica del mito della Frontiera nonché sul legame di quest'ultimo con la nozione geopolitica di paesaggio. Non mancano però analisi attente di testi letterari che hanno segnato il genere (McCarthy e McMurtry in primis, ma anche scrittori pellerossa come Alexie), oppure una splendida disamina della figura di Ethan Edwards (impersonato dallo Zeus dei cow-boys: John «the Duke» Wayne) nel classico film Sentieri Selvaggi di John Ford (con spunti, tra l'altro, che s'incastrano magnificamente con la vivisezione del medesimo personaggio compiuta da Susan Faludi nel suo Il sesso del terrore).
Chiude il testo una divertita - ma sempre attentissima - lezione sulle scazzottate nella cinematografia classica (si parla de Il cavaliere della valle solitaria e di Dove la terra scotta, due gioielli dei tardi cinquanta che hanno davvero puntellato i confini del western sul grande schermo).
Consigliato a chi vuole saperne di più sulle forme di rappresentazione odierne del Grande Mito Americano.

Le frontiere del Far West
(a cura di) Stefano Rosso (Ed. Shake)

9 commenti:

Goliarda ha detto...

"....proteiformi...." aaahhh....
;)

sartoris ha detto...

Ah già, Goliada, dimenticavo la tua predilizione per l'aggettivo ricercato ;-)

CREPASCOLO ha detto...

Ben scritto, ma mi permetto di precisare alcuni punti. La sintesi, a volte, può essere eccessiva.
Susan Faludi vivisezionò il toupet del Duca sul set di E' una sporca faccenda, tenente Parker !
( titolo italiano del poliziesco McQ: non proprio una sintesi, ma decisamente + intrigante dell'originale ) e concluse che
" i linguaggi della guerra e della violenza sono parlati da maschi alfa che soffrono di alopecia ". Praticamente la stessa conclusione di Andrea Pazienza che, nella sua storia del West, nota come nessuno sia + rancoroso di un nano o di un calvo a 23 anni. E' noto che Alan Ladd, una mezza porzione di biondino, pretendeva x contratto che le attrici al suo fianco non gli arrivassero al garrese ed ecco perchè , per esempio, non lavorò mai con Kate Hepburn o Maureen O'Hara ( a dirla tutta sarebbe stata imbarazzante anche Cheetah, se la compagna di Tarzan avesse osato il tacco tredici ).
Camille Paglia ha scritto in un saggio che ha avuto poca eco al di fuori di una birreria in cui andava componendo il suo pensiero a pennarello su di una sottocoppa che " il sesso del terrore è un appuntamento al buio con un uomo che indossa una di quelle cose morte su cui ironizza spesso Dave Letterman quando parla di Don Trump ".
Corman McCarthy, ridendo come una collegiale ad un toga party, ha confessato ai Coen Bros che crede che tutto il mito della frontiera sia " una parodia della caduta di Sansone " e che la fobia tricologica che da allora azzera la vis di tanti hombres sia rappresentata x metafora nel rito nativoamericano del prelievo forzoso dello scalpo.
Di mio aggiungo che, al solito, gli italiani sono maestri di sintesi e hanno fatto convogliare mito e sua estensione nel fumetto Kinowa ( per i sartoris addicted nativi digitali: un cowboy semplicemente scalpato dai pellirossa, ha cioè subito una rasatura a zero come quella che mi infliggo continuamente x assomigliare a Kojak , indossa una maschera demoniaca e si aggira x il west terrorizzando i suoi parucchieri drastici ).

CREPASCOLO ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
sartoris ha detto...

Belle precisazioni Crepa, ma ti assicuro che la Faludi parla di Sentieri Selvaggi nel suo saggio. Lo abbiamo pubblicato noi in Isbn e lo conosco a memoria ;-))

CREPASCOLO ha detto...

Cercherò di procurarmelo. La struttura del film è particolare - Enrico Ghezzi voleva chiamare così una rivista, se non ricordo male - e, in un certo senso, contraddice la struttura di sintesi del regista, uomo rude ( celebri i suoi " cut ! " sparati all'intervistatore troppo ellittico ).
Anche il Duca, secondo le testimonianze di chi ha lavorato con lui, non era perfettamente allineato con il personaggio de Il Grinta ( bibliofilo, malinconico, riflessivo ).
Alla fin fine, se non consideriamo quella sagomaccia di Willer, l'unico duro e puro a sud di Nogales è il Ringo della pubblicità, da poco tornato in auge.

sartoris ha detto...

@Crepa, co' 'sto fatto che sei un "situazionista" puro non so mai quando sei serio o meno. Comunque, io IL GRINTA di Portis l'ho letto (recensione qui), e ti assicuro che non era riflessivo né malinconico, il vecchio Cogburn originale, per cui il Duca ci stava tutto, altroché ;-)

CREPASCOLO ha detto...

Non "situazionista" puro , ma imperdonabile confusionario: intendevo dire che Wayne, secondo chi lo aveva frequentato sul set ed altrove, era diverso dalla maschera che aveva indossato in tanti film. Sorry.

CREPASCOLO ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.