La storia suona più o meno così: c'è una coppia di fidanzati in viaggio verso il casale della zia di lei, tale Ester, sessantenne austera e conservatrice, con l'obiettivo di passare una settimana di vacanza immersi in un'atmosfera bucolica e tranquillizzante. Sin dal principio una serie di avvenimenti indispongono però il protagonista maschile Francesco, rovinandogli l’atmosfera idilliaca cui credeva di potersi abbandonare: il più insulso e al tempo stesso maggiormente perturbante degli episodi è la scoperta che la propria ragazza, Giulia, possiede un alluce deforme, qualcosa di «enorme, gonfio, tozzo, quasi brutale». Questa improvvisa constatazione - «possibile che non l’avessi mai notato prima?» - manderà in tilt l'umore del giovane, innescando una serie di lugubri considerazioni che presto lo faranno sentire isolato e fuori posto, devastandone le certezze.
L'agognata vacanza si tramuta pertanto in una sorta di incubo dominato dal sospetto. Dopo l'arrivo della coppia, una squadra di parenti e conoscenti raggiungono la fattoria e nel certame di detto e non-detto che anima i rapporti all'interno del gruppo i dubbi del protagonista circa la verità delle cose cominceranno a prendere forma e sostanza, a maggior ragione quando Franco, il marito di Ester, scompare nel nulla forse allontanatosi deliberatamente da una condizione di sfascio familiare perenne o forse addirittura ucciso da qualcuno di molto vicino all'entourage di Ester.
Nello spazio chiuso, "kinghiano", del lontano casale, la situazione precipita vorticosamente verso un finale in cui il protagonista perde ogni punto di riferimento e arriva a comprendere che la cattiveria non è una disposizione individuale, ma una possibilità universale: «Nessun male si compie di proposito, finché non ti ritrovi a farlo».
Formaggi, classe 1980 con trascorsi all'interno della famigerata Holden di Baricco, costruisce il suo primo, riuscito romanzo intitolato il Casale (in fase embrionale si era già letto in giro) sulla cifra del grottesco, premendo con una certa maestria il pedale dell'inquietante - sevizie sugli animali, deformità fisiche, silenzi stralunati carichi di mistero - per mettere a fuoco una compagine di personaggi assai cupi, tutti ammalianti e diversamente disfunzionali (Clara, inserviente-prostituta e poetessa prima fra tutti, ma anche lo stalliere Mario, redneck irsuto con capacità di potere ferino su cose e persone, e il cugino cipiglioso e logorroico Carlo non scherzano) che disorientano il protagonista distogliendolo dalla retta via e obnubilandone il senno per veicolarlo verso un destino buio.
Attraverso un’abile costruzione narrativa, l'autore alterna i registri per passare dal noir al romanzo onirico sino a focalizzare un proprio, singolarissimo modello che, seppur figlio di sperimentate visioni d'oltreoceano (ma l'exèrgum viene da Gombrowicz, un europeo che in quanto a prospettiva choc dà dei numeri a qualsiasi Ramsey Campbell made in USA), appare abbastanza innovativo e originale nel panorama nostrano, e il risultato complessivo appaga decisamente il lettore, accompagnandolo in un crescendo di angoscia sino al redde rationem finale, quando tutti gli intrecci trovano una soluzione.
«Rimasi a guardare la pista d’erba sulla quale ci eravamo rotolati, la sagoma che i nostri corpi avevano lasciato in mezzo al campo come un calco in memoria dell’estasi, e mi venne in mente che la mia vita era così – la mia vita, la mia persona tutta – una sagoma, un calco. Nient’altro che il calco vuoto di ciò che avrei potuto fare e dire ma non avevo mai fatto e detto perché ero sempre stato in attesa di trasformazioni mai compiute».
Bravo, sette più.
Il casale - Francesco Formaggi (Ed. Neri Pozza)
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