È pressoché universalmente noto quanto il Nosferatu protagonista del film più celebrato dell'espressionismo altri non fosse che il Dracula di Bram Stoker. Furono gli eredi dello scrittore infatti, negando a F.W. Murnau i diritti sul romanzo, a costringere il regista tedesco a cambiare nome al famigerato conte di Transilvania che sullo schermo assunse il volto spettrale dell'attore Max Schreck. Riguardo la vita di quest'ultimo gli archivi della Settima Arte risultano invero decisamente pitocche: attore del muto di origini incerte, molto attivo nel teatro di Reinhardt, venne per l'indubbio magnetismo fisiognomico scelto da Murnau a interpretare il ruolo principale in quello che egli stesso definì «il più realistico dei film sui vampiri». Ed è proprio con questa citazione che si apre L'ombra del vampiro (2000), film diretto da E. Elias Merhige ispirandosi alla fitta cortina di mistero che accompagnava la vita dell'attore e che attraverso di essa ci racconta la genesi del capolavoro del muto.
Attorno a siffatto punto di partenza il regista modula alcune interessanti «variazioni sul tema», fantasiose quanto suggestive, mettendo a segno un film che vive in continua simbiosi col modello originale. Una simbiosi che si riferisce anzitutto al gioco dei richiami cinematografici (tutte le scene dell'Ombra del vampiro in cui si descrive la lavorazione di Nosferatu sono ricalcate su quelle della pellicola muta) nonché alle relazioni che si instaurano sul set fra il regista - impersonato dall'ottimo John Malkovich - e Max Schreck, l'attore, interpretato con strabiliante aderenza anche fisica da Willem Dafoe. Il film, immaginando che Schreck fosse un ravenant per davvero, focalizza una visione totalmente asservita all'ottica di Murnau, cosicché in continuazione l’immagine sfuma dal b/n al colore, e l’asse portante dell'intera pellicola risiede nell'assunto ideologico che anima chi è dietro la macchina da presa: sacrificare tutto (anche le vite umane) in funzione del sacro fuoco dell’Arte. E su questa bella traccia, che si sarebbe sicuramente prestata a interpretazioni approfondite, Merhige si dimostra sì un cineasta colto, dotato d'uno stile elegante e sontuoso, ma non abbastanza visionario da far levitare la materia. La rivisitazione del cinema ai tempi della manovella e del clima saturo di tensione del primo dopoguerra tedesco è efficacissima quanto sapientemente controllata; così come sono formidabili gli attori nei rispettivi ruolo fintamente dicotomici. Quello che semmai rovina davvero la visione è una sorta d'eccesso di consapevolezza, un quid autocelebrativo che scade spesso nell'ironia togliendo peso e consistenza alle situazioni. Sperimentale ma non troppo.
2 commenti:
Lo dico senza tema di smentita. L'Ombra del Vampiro è un film davvero eccezionale. Me ne sono innamorato al cinema e mi è rimasto impresso sotto pelle come cosa preziosa. In realtà avevo riposto delle speranze in Elias Merhige, ma è rimasto un po' fermo. L'accoppiata Malkovich/Dafoe è da leggenda, comunque.
Eh già, Luigi, il regista si è un po' arenato... (Dafoe nei panni del vampiro è un mito!!!)
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