mercoledì 15 giugno 2011

rené contro mesrine...


La stagione cinematografica appena tramontata ci ha regalato nell'arco dell'ultimo biennio un paio di preziosi biopic criminali, due poderose pellicole (tre, in verità) che hanno saputo manipolare con indubbia scaltrezza i canoni della messa in scena cui è sottoposto sul Grande Schermo questo genere di lavori per raccontarci in maniera vivida e approfondita (al limite dell'apologia, secondo taluni) figure recenti di gangster assurti disgraziatamente alla gloria: il primo trattasi di Renato Vallanzasca, il bel René nazionale, bandito languido, spaccone e sanguinario che fece scaldare il cuore di molte figliole nell'Italia rovente degli anni di piombo e le cui rocambolesche prodezze il sempre più incisivo Michele Placido è riuscito a trasferire in celluloide (complice una prova d'attore davvero pregna di Kim Rossi Stuart) in Gli angeli del male; l'altro è il francese Jacques Mesrnine, altro balordo dalle straordinarie capacità istrioniche che seppe meritarsi in terra d'Oltralpe l'appellativo di Nemico Pubblico Numero Uno e che il dotato regista Jean François Richet ha fatto rivivere al cinema - coadiuvato da un Vincent Cassel in assoluto stato di grazia - con un dittico sfornato nelle sale in sequenza seriale.
Coppia di personaggi ad altissimo potenziale distruttivo, ugualmente innamorati delle donne, le armi, le banche e soprattutto la fama, questi due cattivastri dalla biografie oggettivamente accomunabili seppero piegare a loro piacimento - in un'epoca in cui internet non era nemmeno una ipotesi da fantascienza - il polverone mediatico che le rispettive carriere alimentavano, dipingendosi di volta in volta come una sorta di Robin Hood contemporanei o come rivoluzionari antisistema (è, se vogliamo, la medesima strategia che fece di Jesse James un mito dell'America guerrigliera, ma lì il contesto storico era oggettivamente tutt'altra faccenda).
Il lungometraggio italiano trae origine dal romanzo autobiografico Il fiore del male. Bandito a Milano, e possiede un suo splendido ritmo, incalzante e decisamente rock (e va sottolineato quanto lo score dei Negramaro contribuisca non poco al passo della vicenda), confermando dunque - dopo le ottime prove precedenti - l’abilità di Placido dietro alla macchina da presa (nonché la sua inappuntabile direzione attoriale, qui tutti notevoli, da Timi a Scianna, alla Solarino): il risultato è un'opera che, pur con molte concessioni storiche (se ne dibatte ad esempio qui) scandite tra l'altro da una cronologia che forse avrebbe potuto osare di più in termini di montaggio, colpisce per la ricostruzione scenografica (finalmente niente basettoni posticci e zampe di elefante rivedute in chiave glamour-televisiva) e ti marchia a fuoco per la vis che anima il protagonista (oggettivamente, anche se il cineasta pugliese in promozione non ha fatto che negarlo, la fascinazione verso il bel Renè ci sta tutta, e la bravura/figaggine dell'ottimo Rossi Stuart non fa che amplificarla: ma questa è l'arte, bellezza!).
Il secondo film (diviso come detto in due pellicole separate, lunghe circa un paio d'ore ognuna) racconta la vita di Mesrine partendo dal suo ritorno in Francia dopo il conflitto in Algeria per mostrarci la sua irrefrenabile ascesa nella criminalità parigina sino alle copertine su Esquire con in braccio il Kalasnikov e infine l'agguato conclusivo da parte della polizia. Diseguali nella focalizzazione degli snodi narrativi (il primo film, L'istinto di morte, sembra arrancare spesso trattenendo a fatica l'esuberanza recitativa di un Cassell che talvolta sbaglia la misura viaggiando come un diesel; il secondo invece, L'ora della fuga, inforca il crinale della frenesia adrenalinica facendo propri gli stilemi del l'action duro e puro e indovina la giustapposizione tra la componente biografica e quella più propriamente spettacolare, tra fughe, rapine, sparatorie e inseguimenti mozzafiato. Un piatto saturo di ingredienti che, invece di risultare eccessivamente azzimato, conduce fatalmente - diremmo per per accumulo - alla resa complessiva d'una personalità dirompente e sfaccettata come quella del protagonista). Ne vien fuori quindi il ritratto a tutto tondo di un personaggio carismatico, oltremodo sopra le righe: un violento, tracotante gaglioffo ossessionato dalla propria immagine, dotato di un'empatia elementare verso il prossimo, capace di attribuirsi crimini non commessi al fine di soddisfare le attese di un pubblico assetato di bravate sempre più eclatanti e rumorose (la vanagloria portò il bandito persino a scrivere un'autobiografia in cui, per puro narcisismo manicomiale, amplificava i crimini commessi) e attirare su di sè l'attenzione della stampa, distratta dal golpe in Cile del dittatore Pinochet, un pazzo incosciente che non disdegna di avvicinare le Brigate Rosse italiane allo scopo di «distruggere il sistema» senza approdare mai ad alcuna reale consapevolezza politica.
Due piccoli gioielli che hanno ricevuto il plauso della critica e che il botteghino ha molto premiato, legittimamente. In un ideale tenzone creativo attribuiremmo forse la vittoria ai punti a Placido, con un Vallanzasca che - eresia! - in soldoni risulta persino più riuscito dei tragici lestofanti che animavano il suo più famoso Romanzo Criminale, mentre il film (i due film) del francese, pur meritandosi tutta l'ammirazione per l'indubbia capacità stilistica e la maestosità della visione, deve forse buona parte della sua riuscita a un Vincent Cassel davvero spropositato. Una gran goduria per gli amanti del genere, comunque, in entrambi i casi.

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Sembra la tenzone spumante-champagne! Comunque hai fatto un'ottima analisi, come sempre... sarò forse un po' sciovinista, ma credo di aver preferito Vallanzasca, anche per la sorpresa di trovarlo, come giustamente dici, anche superiore a Romanzo criminale. In questo duetto, però, aggiungerei anche il Nemico pubblico di Michael Mann, Sua Maestà, film che, a differenza di molti altre persone, a me è piaciuto molto...

sartoris ha detto...

Michael Mann è irraggiungibile, non c'è gara (direi comunque che la struttura di Dillinger non si possa equiparare a questi due lavori, là c'è tutta la mitopoiesi del gangster americano vestito coi gessati e la guerra al proibizionismo, i ritratti del criminale fatti da altri maestri prima di quello interpretato da Deep, insomma mi sembra diversa, la faccenda) (però per carità, come gira Mann non gira nessuno, per me è nell'Olimpo dei miti assieme a pochi altri: che so Mallick, Kubrik, Leone, roba così)

Gigistar ha detto...

Ma lo sai che a me è piaciuto più Mesrine 1 che Mesrine 2? Lo pensavo mentre leggevo la tua recensione, poi ho letto il tuo giudizio del tutto opposto :)

Non so, nel primo mi piacque molto il percorso "di formazione" del personaggio di Cassel, oltre alla rappresentazione del suo rapporto con l'autorità, con il padre, con le donne.

Il secondo non mi ha lasciato molto, invece. Anzi, ricordo che lui mi diventò antipatico (alcune scelte mi sembravano forzate e incomprensibili).

Per curiosità ho dato uno sguardo su IMBD. Per quel che vale (cioè zero), il primo prende 7,5 da 9000 votanti, il secondo 7,4 da 7000. Siam lì...

Ciao!

sartoris ha detto...

Gigistar, tranquillo, mica son la Bibbia :-)
(comunque io ho faticato col primo, mi sembrava che fosse tutto troppo abbozzato, e poi vedevo Cassel come frenato... però per carità, è solo meno ritmato del secondo, il che non significa necessariamente più debole: a me lo è sembrato, ma insomma diciamo che nel complesso vien fuori una bella figura di bastardo e il buon Vincent è decisamente un grande - dopo IL CIGNO NERO e questi due film è decisamente tra i miei attori europei preferiti:-)

Gigistar ha detto...

Fiùùùù...

Concordo su Cassel, anzi rilancio: e vogliamo dimenticarci dell'interpretazione in La Promessa dell'Assassino? :)

sartoris ha detto...

@Gigistar, maccerto, se è per questo già il L'ODIO era una spanna più su degli altri: direi che si fa prima a dire quali sono gli errori che non gli perdono: BLUEBERRY, IL PATTO DEI LUPI, DOBERMANN sono sciagure che avrebbe dovuto evitare, però è un attore assolutamente maiuscolo (e col tempo migliora:-)

sartoris ha detto...

PS (che poi IL PATTO DEI LUPI in sé come film non era malvagissimo, però il suo personaggio era davvero odioso e assurdo:-)

Fabrizio ha detto...

Quando si parla di cinema non resisto!!!! Vallanzasca (breve recensione) In una livida Milano, come non la si vedeva dai tempi di Fernando Di Leo, Michele Placido lancia la mdp all'inseguimento dell'irrefrenabile Renato Vallanzasca esattamente come le Alfa della polizia si lanciavano all'inseguimento del boss della comasina e della sua banda.
Vallanzasca - Gli angeli del male è sostanzialmente costruito sull'azione, che poi, in buona sostanza, è quello che si chiede ad un gangster movie.
Placido incalza i suoi attori imponendo alla pellicola un ritmo frenetico, cosa rara per il cinema italiano.
Il regista di Ascoli Satriano si trova alle prese con una materia che sicuramente sa trattare al meglio ed infatti dirige con grande mestiere e mano sicura questo gangster movie di buon livello; è bravo a romanzare la vita del "bel Renè", e a raccontare con efficacia i suoi crimini indagando su quell'etica del male che fece del bandito Vallanzasca un uomo da copertina.
Polemiche preventive, isteriche e ingiustificate che non ricordo abbiano preceduto l'uscita di altri film come Banditi a Milano (C. Lizzani 1968) che narrava le gesta criminali di Pietro Cavallero e che arrivò in sala a "ferite ancora aperte" in quanto si trattava di un instant movie o altre pellicole come Romanzo Criminale (2005) diretto dallo stesso Placido.
"Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è predisposta unicamente per l'autoflagellazione". Con questa frase di Truman Capote, il regista pugliese apre il suo film. I doni che Dio concesse a Renato Vallanzasca furono fascino e arguzia, la sua scelleratezza fu l'inesorabile frusta e Michele Placido racconta tutto questo con franchezza senza moralismi e senza voler fare pedagogia.
Nemico Pubblico (considerazioni) mi ha deluso. Le pecche maggiori: 1)Inutilmente lungo, 2)il personaggio di C.Bale per nulla approfondito (e pure lasciò l'FBI l'anno dopo la morte di Dillinger e morì suicida);3) I soliti milioni di proiettili che i personaggi di mann sparano da distanze ravvicinate e che non vanno mai a segno.
Salute a tutti.

sartoris ha detto...

@Fabrizio: wow, bella ed esaustiva la tua recensione su Vallanzasca. Su Mann sei forse troppo critico (o forse sono io che non riesco ad esserlo. Mi capita, qualche volta, quando mi innamoro di un autore:-) (vera la parte delle milionate di pallottole, comunque, ma io l'ho sempre letto come un dato caratterizzante, come in Miami Vice the movie, dove le gragnuole di piombo erano una norma estetizzante) (la vogliamo dire tutta? In Nemico Pubblico forse era sbagliato l'attore, Deep non è un interprete buono per qualsiasi ruolo, alcune sue cose sono grandi, altre un po' meno, ecco!)

Anonimo ha detto...

Però ogni volta che mette al centro della scena un criminale come quelli citati nella tua rece e nei commenti la mitopoiesi è dietro l'angolo, come la tentazione agiografica da parte di sceneggiatori e registi. Credo, in parte, che sia inevitabile, poichè è intorno a loro che tutto ruota e necessariamente lo spettatore tende a identificarsi con il protagonista, che quindi diventa sempre un po' meglio di quello che in realtà è. Quando accoppano Dillinger, ad esempio, credo che dispiaccia, anche perchè ci rimane quando sembra - se non ricordo male - che voglia un po' chimarsi fuori.

Sulle pallottole di Mann: beh, ma è la sua firma e poi, diciamolo, come gira lui le scene di sparatorie non le gira nessuno. Cioè, è impossibile andare al di là di Heat-La sfida, cioè, quello è il punto di arrivo per tutto un genere e un certo tipo di cinema. Non si può fare meglio, al massimo uguale. La sparatoria urbana, quella della rapina finita a puttane, è un capolavoro assoluto, qualcosa di fuori di testa! Depp non mi era parso malaccio, Omar, anche se credo che lo stesso Bale, invece che nelle vesti del poliziotto - per quanto con un lato oscuro particolarmente spiccato - avrebbe dato a Dillinger un tocco in più come solo quel fenomeno di Christian da fare... tra l'altro, vado OT, ma questa è la settimana - Giorgia e Niccolò permettendo - che mi sparo The Fighter!

sartoris ha detto...

@Pegasus, hai ragione, Bale ora che ci penso avrebbe dato un tocco in più al personaggio di Dillinger. Sparati The Fighter, ne vale la pena, e poi facci a sape'!!! :-))

(Deep mi piace molto, solo penso che alcune cose non siano tagliate per lui, e poi ultimamente mi sembra che si annidi un po' di Jack Sparrow sotto ogni personaggio che interpreta)

Gigistar ha detto...

Ri-concordo con il penultimo commento di Omar. Ricordo perfettamente il commento che sparammo all'uscita da "Nemico Pubblico": Johnny Depp nei panni di Dillinger è credibile come Paperoga in quelli di Rambo. Non so se avete presente la faccia del vero Dillinger...

Neanche a farlo apposta, ieri su due canali in chiaro del digitale terrestre andavano in onda Blueberry e Agents Secrets. Scartato il primo ho ripiegato sul secondo. Dopo una bella scena iniziale di inseguimento, mezz'ora di sonno globale totale. Confesso di aver spento. Neanche Vincent riusciva a tenere in piedi il polpettone. Forse ero stanco io...

sartoris ha detto...

@Gigistar: Paperoga nei panni di Rambo è una immagine perturbante :-)

(credo ci abbia visto giusto Pegasus: ci sarebbe voluto Bale in quella parte. Deep io l'ho apprezzato tantissimo in cose tipo DONNIE BRASCO, o anche in SECRET WINDOW, ma la deriva "alla Keith Richards" degli ultimi anni un po' me l'hanno fatto diventare antipatico...)

(sarà pure che a 50 anni resta un gran figo pieno di capelli e senza panza:-)

Fabrizio ha detto...

mmmh sulle troppe pallottole continuo ad avere dei forti dubbi. Ok, come marchio di fabbrica ecc..quando parliamo di Heat o Miami Vice, ma quando si parla di Dillinger, ovvero di fatti realmente accaduti, va bene anche romanzarli un pochino, ma far partire lo stesso numero di colpi dello sbarco in Normandia de salvate il soldato Ryan, senza neanche un mezzo ferito mi sembra troppo.

sartoris ha detto...

@ Fabrizio: proprio non me lo vuoi salvare, il mio Mann, vero? (si scherza:-)