Che tradurre in celluloide uno dei più famosi romanzi di Jim Thompson non fosse impresa da poco era un fatto abbastanza chiaro già sin dagli anni '50, a cavallo della uscita dell'(allora) contestatissimo libro: numerosi pare infatti siano stati i tentativi di portare sul Grande Schermo le vicissitudini dell'aiutosceriffo psicopatico al centro di quel classico assoluto del pulp che è The killer inside me (ci riuscirà nel 1976 il regista e sceneggiatore western Burt Kennedy, con un adattamento forse un po' incolore ma non privo di un suo fascino).
L'ultima versione è rimpallata per un po' tra i produttori prima di passare dalle mani del cineasta australiano Andrew Dominik (suo il magico L'assassinio di Jesse James) a quelle del dotatissimo - ma discontinuo - Michael Winterbottom, eclettico cineasta inglese che dai tempi di I want you non si confrontava con la crime-story. Il risultato è una pellicola assai dibattuta e controversa che ha suscitato non pochi malesseri sia tra gli amanti dell'opera di Thompson che in quelli dello stesso regista. The killer inside me targato 2010 di sicuro non è un film pienamente riuscito, questo va detto; eppure, per quanto tradisca buona parte delle coordinate thompsoniane, contiene in realtà non pochi spunti d'interesse: anzitutto una dichiarata adesione ai canoni del noir (annunciata sin dai folgoranti titoli di testa molto seventies), con l’elemento poliziesco che si volatilizza via via che la storia avanza per lasciar spazio al punto di vista - tutto esteriore - del protagonista Lou Ford il quale, pur raccontandosi con voce over, non elargisce mai una valida chiave di lettura al proprio comportamento (vaghi i riferimenti a un’infanzia traumatica, e il bravo interprete Casey Affleck risulta assai efficace nel restituire, attraverso la sua faccetta gentile e il fisico smagrito, l'ambiguità di un personaggio perfettamente a modo, gentile e rispettato, che cova in sé le pulsioni di una spietatezza che ben presto esplode lasciandosi dietro un cospicuo numero di cadaveri). Attorno alla figura dell'aiutosceriffo ruota quindi il mondo della provincia del Texas, punteggiata dalle trivelle petrolifere e magnificamente ricostruita (coi decor laccati e caldi degli interni delle magioni, o le vedute alla Edward Hopper dei bar sulle strade, talvolta sembra di rivivere momenti presi pari pari da Il Gigante). Poi c'è la rappresentazione della violenza, estremizzata e cruda senza però mai scadere nella parodia tarantiniana (si vedano i pestaggi delle due donne, di una brutalità tanto diretta quanto insostenibile) e la glacialità con cui essa si manifesta, che ne amplifica l’impatto. Infine ci sono le (troppe) cose che non funzionano: alla recitazione di maniera (pare fortemente voluta dal regista) non corrisponde sempre un tratteggio incisivo dei personaggi (Jessica Alba è poco più che una comparsa, e Kate Hudson sarebbe anche credibile come donnina innamorata e disposta a tutto se solo le si concedesse maggiore rilievo nella messa in scena) e alla lunga l'intero meccanismo narrativo, che pure si offriva a un bel lavoro introspettivo, sembra lentamente sfarinarsi e perdere di nerbo. Finale abborracciato e deludente, come se si fossero esauriti i soldi e, soprattutto, la volontà. Quasi che, dopo un inizio esaltante, Winterbottom e il resto della truppa si fossero rotti i comesichiamano. Insulso e assolutamente inutile il breve cameo di uno svaporatissimo Bill Pullman. Comunque da vedere, quantomeno per premiare le intenzioni...
2 commenti:
Bella recensione, Omar! Su 'sto film, come hai potuto leggere nell'ampia discussione sviluppatasi su Pegasus Descending, sono ormai molti i pollici versi... Certo, secondo me bisogna essere un po' dei pazzi per portare al cinema un mostro sacro qual è il libro di Thompson, si può solo fare peggio!
Io lo consiglio comunque, Andrea, anche sapendo che si esce dalla sala con un certo magone (soprattutto se si conosce il libro di Thompson). In fondo è sempre una spanna più su di un sacco di robaccia che c'è in circolazione...
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