domenica 26 settembre 2010

The Punisher: una prece...

Per qualche arcana legge della sfiga esistono personaggi che sulla carta funzionano alla grande e che, una volta approdati sul Grande Schermo, in un modo o nell'altro finiscono clamorosamente per tonfare. The Punisher, spietatissimo giustiziere nato sulle pagine dei fumetti Marvel, antieroe derivativo sulla cresta dell'onda da ormai quasi un quarantennio, al cinema ha goduto di ben tre-dicasi-tre trasposizioni dal vivo, una più loffia dell'altra. E sì che sull'ultima versione in celluloide, The Punisher, Zona di guerra, le aspettative erano tante: firmata dalla regista Lexi Alexander (e già l'idea di affidare a una donna le gesta d'un eroe cazzuto e macho come il Punitore aveva il sapore della sfida che lasciava ben sperare) la pellicola era stata pensata per rilanciare le quotazioni cinematografiche del personaggio dopo l'inguardabile film di Jonathan Hensleigh con Thomas Jane e John Travolta, (per non parlare di quello ancor più mediocre dell'1989 di Mark Goldblatt con Doulph Lundgren), imprimendo al plot un radicale cambiamento di rotta rispetto ai predecessori e attenendosi, almeno nelle intenzioni, allo spirito sanguinario della controparte cartacea. The Punisher: Zona di guerra, nei fatti, si è però rivelato come il peggiore incasso in assoluto per un adattamento Marvel, al punto che la distribuzione italiana è scivolata direttamente nell'home video. E questo perché, pur ispirandosi all'approccio di Garth Ennis, l'autore che meglio di chiunque altro ha saputo ammodernare il personaggio e dal quale la regista e il trio di sceneggiatori al suo seguito (Nick Santora, Art Marcum, Matt Holloway) mutuano la caratteristica prospettiva splatter-grottesca - il copione non regge, manco per niente. E questo è un peccato. Poiché l'idea di un supereroe duro e senza freni, ossessionato dalla vendetta sulla scorta dei vari giustizieri della notte di bronsoniana memoria, avrebbe meritato dalla Settima Arte un trattamento invero più degno. Qui, malgrado la bella sequenza adrenalinica iniziale, il ritmo si affloscia in un fiat. Anzitutto per il patetico tentativo di umanizzare il Punitore, caricandolo di conflitti interiori pressoché inutili (l'interprete Ray Stevenson, va detto, oltre a somigliare parecchio al Frank Castle dei comics è davvero efficace nel marcare quel suo sguardo «boro» d'una venatura malinconica ). E se è vincente l’idea di glissare sull’origine del vigilante mostrandolo già operativo e relegando il massacro dei suoi cari a pochi, fulminei flashback, è sull’origine della sua nemesi che si compie il vero delitto: Mosaico (tra l'altro ribattezzato dai doppiatori italiani col ridicolo "Puzzle") nasce in maniera fastidiosamente simile a quella del Joker del Batman by Tim Burton. Caduto in un tritarifiuti stracolmo di vetro (anziché in una vasca d’acido come il nemico dell’Uomo Pipistrello), il gangster Billy Russo riesce a sopravvivere. Stacco. La scena ci scaraventa in un antro in cui un chirurgo plastico gli toglie le bende avvisandolo che il danno è tale da non permettere miracoli e meritandosi pertanto la prevedibile furia assassina del mafioso, ormai trasformato - d'amblè - in un perfetto mostro. Se un cineasta decide di ricorrere a tappe così abusate e straviste per dispiegare il suo racconto, le possibilità di assistere ad un prodotto riuscito si affievoliscono: in questo caso, ahinoi, tendono pericolosamente vicini allo zero. Né riceve miglior trattamento la figura di Loony Bin Jim, il fratello schizoide di Russotti, una specie di Hannibal in versione acida impersonato da Doug Hutchison (Il miglio verde). Invece di stillare l'iperviolenza di cui si voleva cospargere il film, la sua interpretazione si arena in una performance gigionesca, del tutto fine a sé stessa. E poi la monolitica solitudine del Punitore, vero piatto forte del personaggio dei fumetti, qualcosa che lo relega ad una perenne dimensione tragica che non di rado sconfina in quella epica, qui viene dapprima esibita e poi mestamente abdicata in funzione dell'amorazzo platonico con la vedova di un agente federale con fanciulla al seguito. Insomma, l'ennesima panciata per un personaggio che sullo schermo aspetta ancora il suo riscatto, dannazione!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ennesima pessima recensione che leggo su questo film, in particolare da chi ha amato il Punisher di Ennis...a proposito, nella prima settimana di Ottobre esce un Punisher Max con una storia completa sceneggiata da Victor Gischler e altre cinque ministorie tra cui una scritta da Swierczynski (è impossibile scrivere giusto questo nome) e altri...Lo prendi o l'hai già letto? A proposito di Gischler e della discussione che abbiamo fatto sull'innovazione del genere in calce all'intervista a custerlina su Pegasus Descending, consiglio di ascoltare la sua intervista alla trasmissione radio - reperibile on line- de Tutti i colori del giallo: dice che una volta aveva provato a proporre una roba un po' nuova, il Punisher che va asalvare una donna e finisce per essere salvato da lei, stile Gischler. Beh, idea bocciata in tronco dall'editore, il Punisher ammazza tutti e basta! Eh eh...I legacci non sono solo qui da noi, anche se forse, noi, più che legacci, abbiamo cavi in acciaio!!

sartoris ha detto...

Guarda, 'sta storia del Punisher mi ha lasciato proprio l'amaro in bocca. Avevo aspettato per vedere 'sto film per una serie di ragioni e contavo molto sul fatto che Elvezio Sciallis sul suo blog ne parlasse bene (lui è oggettivamente il mio referente per il cinema di un certo tipo), epperò mi ha deluso, annoiato, e pure fatto incazzare, mannaggia...

sentirò l'intervista:-)

vabe'