lunedì 6 settembre 2010

Coccodrilli e outback...

Era il 2005 quando il giovane Greg McLean catalizzò il plauso di critica e pubblico col suo bel Wolf Creek, pellicola dai ben pochi spunti originali rispetto ai canoni classici dello slasher ma di certo straripante d'un personalissimo fascino misticheggiante dovuto in primo luogo all'ambientazione australiana (e qui non si può evitare di pensare al pioniere di tutti i film ambientati in quelle terre estreme: Picnic ad Hanging Rock del 1975).
Col secondo lungometraggio del 2007, McLean, qui in veste anche di sceneggiatore e produttore, volge l'attenzione al monster-movie cimentandosi con la storia di una comitiva di turisti alle prese con un coccodrillone gigante. Se a primo acchito il soggetto pare agli antipodi rispetto a quello dell'esordio, sin dai primi minuti di visione di Rogue - questo il titolo del film - è facile comprendere che la prospettiva del cineasta australiano non si è modificata in realtà d'un millesimo rispetto a Wolf Creek, tornando a magnificare i territori splendidi ma inospitali della propria terra segnata dall'incombente presenza d'una minaccia assassina, questa volta rappresentata dallo spropositato alligatore laddove nel primo film c'era l'omicida seriale bifolco. Con un po' più di soldi in saccoccia, McLean conferma la predilezione per il taglio documentarista: le prime sequenze, accompagnate dalle note di struggenti canti aborigeni, catturano lo splendore di una natura incontaminata nella quale il pericolo irrompe a tradimento dalle acque: un placido bovino viene violentemente trascinato nel letto di un fiume.
Confezionata in maniera impeccabile grazie a una fotografia davvero smagliante, la storia si srotola in maniera lineare attenendosi ai canoni del genere, con la fase iniziale di presentazione dei personaggi riuniti su un battello: si tratta di un giornalista americano - l'attore francese Michael Vartan, lo cogliamo giungere nei pressi di una bettola sudicia (una scena speculare era già in Wolf Creek) dalle pareti tappezzate di ritagli di giornali sulle vittime dei coccodrilli -, la guida turistica gnocca interpretata da Radha Mitchell e un bullo da motoscafo con la faccia ancora poco nota di Sam Worthington, di lì a breve assor- bito dai kolossal Terminator Salvation e Avatar che ne faranno una star. Il resto sono comprimari molto efficacemente delineati da un nutrito stuolo di attori locali.
Tenendo bene a mente la lezione de Lo squalo, la creatura assassina viene celata il più possibile allo spettatore facendone precedere la comparsa dalle inquadrature di numerosi esemplari (veri) della stessa specie, pericolosi ma non quanto il mostro a guardia di un luogo isolato impregnato di sensazioni primordiali (inquietante a tal riguardo l'ammonitore graffito rupestre di un grosso rettile sulle rocce, quasi il segnale che decreta l'entrata nel mondo privato di una imponente creatura di almeno 10 metri). Realizzato abilmente in GC, il coccodrillone si muove con verosimile sinuosità (per alcune brevi scene tra l'altro tornano i vecchi, cari costumi di gomma), e il gradiente dello splatter è al principio assai tenuto a freno: le prime vittime semplicemente scompaiono dalla vista di attoniti testimoni con una velocità disarmante, risucchiate dalle poderose fauci dentute. Poi la tensione esplode, e improvvisamente il sangue tinge copioso le acque. Quando tutto sembra finirà come previsto, la storia vira in maniera inattesa e il giornalista si ritrova in una caverna per il redde rationem col mostro, trasformando la pellicola in una specie di variante aborigena di The discent. Bel ritmo, belle immagini, gran film di genere. Flop al botteghino, speriamo non blocchi la carriera di un regista davvero talentuoso.

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