Due ragazze inglesi e un fighetto australiano intraprendono un viaggio a quattro ruote lungo le desolate lande australiane. Quando il motore della loro auto li saluta, mollandoli in mezzo al parco di Wolf Creek, appare improvvisamente in loro aiuto un certo Mick, a bordo del suo carro attrezzi. Dopo aver rimorchiato l'autovettura fino alla sua officina, nella notte sempre più incombente, il sinistro personag- gio si mette a lavorare lasciando che i tre ragazzi si addormentino attorno al falò. Si chiudono gli occhi, inizia l'incubo. Il cineasta Greg McLean, alla sua opera prima, prende spunto (alla lontana, molto alla lontana) da una storia realmente accaduta e con una fotografia e una tecnica di ripresa sorprendenti realizza nel 2004 questo piccolo horror-cult.
Pur intriso (e ci mancherebbe!) di tutti gli stereotipi del genere - road-trippers sperduti nella landa ignota, killer seriale con tanto di macabri trofei hooperiani (nel senso di Tobe Hooper, il regista guru cui si deve il capostipite Non aprite quella porta, il primo, originale e probabilmente irripetibile slasher americano) appesi in bella vista - Wolf Creek si offre come cruda messa in scena di un progressivo, inatteso sprofondamento negli abissi di un orrore colto nella sua più mefitica flagranza visiva. La pellicola è - dalla prima all’ultima inquadratura - un frullato di elementi materici che concorrono al comporsi di un senso dell'orrore tutto epidermico in cui le psicologie si riducono a zero imboccando strade senza ritorno che non esistono sulle mappe, e le urla ed i colpi di machete restano sempre richieste di soccorso risucchiate dal vuoto spietato del vento. L'atmosfera è il prodotto più dei calibrati contrasti di luce che del mero defluire narrativo, le dinamiche psicologiche che intercorrono tra le figure di questo nerissimo racconto provengono da sovraccarichi emotivi non dissipabili, cortocircuiti di energia psichica inconscia che pesca nel torbido serbatoio delle più ancestrali paure. Gli spazi aperti, poi, scandagliati dalla macchina da presa con maestosità epica nella prima parte di tutto il film, regalano alla visione una malinconia quasi dolorosa, che concorre ineffabilmente all'inquietudine dello spettatore.
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