giovedì 15 giugno 2017

bellissima intervista su Malesangue...

Conosco Omar Di Monopoli da dieci anni: da quando cioè ha esordito con Isbn col suo primo romanzo Uomini e cani. Adesso, dopo altri due romanzi e una raccolta di racconti, Omar è approdato a Adelphi con l’ultimo Nella perfida terra di Dio. Posso dire di far parte della nutrita schiera di suoi lettori che ha esultato alla notizia del passaggio, qualche mese fa: per me Omar, che vive a dieci chilometri da dove vivo io, è stato un punto di riferimento costante, e la sua scrittura una sorta di sorella maggiore per la mia - per chi non l’avesse mai incontrata: bisogna immaginare il muro di una bellissima chiesa barocca però abbandonata, nelle cui crepe (di questo muro) crescono dei rigogliosi cespuglietti di malerba; oppure si provi a evocare il suono ubersaturato di chitarre collegate ad amplificatori per basso di certo stoner rock anni ’90 - altro esempio per dire, pure, che i romanzi di Omar andrebbero letti con orecchie interiori, oltre che con gli occhi: perché se gli occhi rimandano a paesaggi da gotico appulo-americano, la sonorità dell’italiano desueto di questo William Faulkner di Terra d’Otranto, che ingloba e rivomita lingue locali acide e senzadio, è un’avventura nell’avventura. Di questo e altro abbiamo parlato con Omar nel corso della conversazione che potete leggere di seguito.
Inizierei dallo stupore di leggere le tue parole rivestite dal completo tipografico di Adelphi (un sobrio gessato, direi). Ti avevo lasciato bardato dal rossosangue dei dorsi Isbn, con quei caratteri secchi e puntuti, e ora sei tutto aggraziato e pulito. Il che rispecchia pure, se vogliamo, il passaggio dall’ultrapop Anni Zero di Massimo Coppola al classico dei classici e senzatempo di Roberto Calasso; passaggio in cui la tua opera non perde nulla, anzi, al contrario acquista un’identità, un’aura nuova - un po’ quello che è successo a M.P. Shiel con La nube purpurea, passato dal “genere” di Urania all’autorialità forte di Adelphi; Adelphi che peraltro ti ha collocato nella stessa collana, Fabula, in cui escono Bolaño e Carrère, tanto per fare i nomi di due autori che indagano il male da una prospettiva simile alla tua, forse. Come ti senti? È un sogno, è tutto vero? Come calzano questi panni nuovi?
Caro mio, non smetto di ripeterlo, in questi giorni, e quindi lo ribadirò anche qui: è ovviamente un salto quantico, una cosa che mi rende orgoglioso. Pure, sperando di non sembrare troppo presuntuoso, credo si tratti in fondo di uno sviluppo naturale (non dovuto, intendiamoci, ma naturale!) giacché la Isbn era, per lo meno agli esordi, una sorta di Adelphi in sedicesimo: una casa editrice insomma con un catalogo curato e vivo, con una sua precipua identità anche grafica oltre che filosofica (solo decisamente più pop rispetto alla monumentale casa in cui adesso ho l’onore di essere ospite). Poi le cose sono andate a ramengo ma è inutile stare a riparlarne: io so solo che probabilmente non sarei mai entrato nello studio di Calasso se prima non avessi incontrato l’entusiasmo di Papi, Coppola e Formenton in Isbn, coi quali sono cresciuto come autore. Il resto è cronaca, anche giudiziaria, e credo sull’argomento si sia detto abbastanza…
Ma entriamo in questa perfida terra di Dio. Dicevo dell’indagine del male. Racconti una terra arsa dal peccato, e grottescamente. Questo ti accomuna soprattutto a Flannery O’Connor, e per conseguenza/nipotanza a una serie come True Detective - pure, direi, per certi paesaggi nostri, di queste parti, che ne ricordano certi altri americani. Solo che qui non ci sono detective, solo villain e aguzzini (a parte forse Antonia e figli, che pure non paiono tanto per la quale). Niente e nessuno, insomma, che possa indagare il male, a parte forse il lettore. Ma anche dando per buona quest’ipotesi: mi sembra che a prevalere sia sempre il caso, in ogni sciagura occorsa ai tuoi personaggi – Nuzzo becca la sua “illuminazione”, senza apparente motivo come fosse un colpo di sole, in un giorno come tanti; Narcissa ’cappa nu uài che ne sconquassa la vita per un’ingenuità di ragazza; Tore è preso, per quanto già malamente, nelle tràstule di Carminicchio, che forse è l’unico a dare un aiuto volontario al suo destino perché si metta in moto… Un caso che incattivisce e imbestia e non prevede redenzione, ad ogni modo.
Sì, hai ragione. In questo ho sicuramente subito l’influenza dell’incommensurabile maestra Flannery O’Connor, coi suoi folli personaggi immersi in una realtà intrisa di religiosità deforme e deformante, una sorta d’integralismo che rasenta il fanatismo più bieco salvo poi venire contraddetto dall’onnipotenza di un fato spesso infame e irrimediabilmente beffardo. Ma non ti nascondo che, ancor più che a True Detective (pure, in qualche maniera richiamato tramite la citazione in esergo – un pezzo degli Handsome Family, autori della colonna sonora della serie) ho guardato con grande attenzione alla tradizione delle Murder Ballads, le ballate di morte di matrice anglosassone rese immortali da Nick Cave e da Johnny Cash e che prevedono l’assassinio e il castigo privo di qualsivoglia redenzione. Ecco, defraudare i colpevoli di qualsiasi forma di redenzione mi è parso, sin dai miei primi romanzi, una componente fondamentale del mio lavoro di scrittore. (qui tutto il resto)

4 commenti:

CREPASCOLO ha detto...

Non è naturalmente colpa tua - sono davvero contento per la attenzione dei media nei confronti del tuo ultimo nato - se ormai so più o meno dove andrà a parare Nella Perfida Terra di Dio. Troppi vedo non vedo come negli strip tease dei film con Totò ed io so resistere a tutto meno che agli spoilers, come direbbe Wilde. Ricordo ancora un " amico " che mi raccontò il finale di Titanic - spero tu l'abbia visto perchè sta arrivando la rivelazione - e decisi che non avrei speso il mio tempo ed i miei dindi sapendo ( gerundio southern gothic ) che la barca avrebbe baciato un sasso di ghiaccio come in una favola nera. Lo leggerò comunque a bordo piscina con nelle oreccchie lo stoner rock dei bimbi che si tuffano...

sartoris ha detto...

@Crepa, mai come questa volta il finale è aperto e soprattutto poco importante ai fini della traversata... non fare l'indiano e accàttete lu librru :-))))

CREPASCOLO ha detto...

Compro, compro. No preocupe. Chiedi al signor Calasso, se pubblicherebbe una tua storia intitolata La Nipotanza Imbestia in cui si racconta di eserghi senzienti che, con la fronte imperlata di sudore, stigmatizzano la ecfrasi di retabli su cui sono istoriate le gesta di antichi true detectives del sintagma. Se dice che deve pensarci, ma che al momento è troppo preso dal promuovere un saggio in cui si afferma che Emmanuel Carrere è il figlio segreto di Joe E. Brown ( che si innamora di Jack Lemmon in A Qualcuno Piace Caldo ), ti sentirai come il tale che tirò una corda tra le torri gemelle nel momento in cui a metà strada realizzò che ci sono rischi che si possono anche non correre. Ciao ciao.

sartoris ha detto...

@crepa, giustamente mi hai messo in riga con una delle tue migliori evoluzioni dadaiste :-)