domenica 7 giugno 2015

seminando intrusi dentro di me...

lo scavallo tra l'attuale stagione cinematografica e quella appena lasciataci alle spalle ci ha regalato sul fronte horror un pugno di lungometraggi davvero incisivi e folgoranti, opere che hanno saputo rimescolare le carte del genere senza l'ausilio di effetti speciali mozzafiato quanto piuttosto attingendo ai cliché della tradizione con un gusto e un'intelligenza molto contemporanei. Se la rivelazione dell'anno è stato fuori di dubbio l'australiano The Babadook e negli ultimi mesi non si fa che parlare del bellissimo It Follows (semplicemente un film da applausi! Ne parla con dovizia appassionata qui il solito Elv), in mezzo c'è stato quel mezzo gioiellino che risponde al titolo di Honeymoon, pellicola indipendente a stelle e strisce recitata - con esemplare partecipazione - da una coppia di attori britannici.
Assistente di produzione di lunga esperienza, l'autrice Leigh Janiak esordisce qui dietro la macchina da presa dirigendo un piccolo, classico ibrido a metà tra l'horror e la fantascienza che va a inserirsi di peso nel solco della longeva tradizione delle abductions e inseminazioni aliene inaugurata da Don Siegel nel 1956 (e da Jack Finney, of course).
Non c'è infatti, a ben vedere, una sola idea nuova in Honeymoon, ma la cineasta americana riesce - davvero con quattro spiccioli - a realizzare un prodotto efficace e funzionale, capace di dire ciò che deve dire tenendo desta l'attenzione dello spettatore sino alla prevedibile eppure sconvolgente svolta finale. La storia in due righe suona così: freschi di nozze, Paul e Bea viaggiano fino a un remoto lago nelle campagne canadesi per la loro luna di miele. Pochi giorni dopo la presa di possesso del cottage in cui i due piccioncini consumano il loro perpetuo slancio amoroso, Paul trova di notte Bea errante e disorientata nel bel mezzo del bosco. Il comportamento della moglie diventa sempre più strano e scostante, e il povero Paul inizia a sospettare che sulla faccenda aleggi qualcosa di più sinistro e periglioso di un semplice episodio di sonnambulismo.
Lui è il Victor Frankenstein della spettacolare serie tv Penny Dreadful (Harry Treadaway, da non confondersi coll'altrettanto dotato fratello gemello Luke, visto in Fortitude), lei è Rose Leslie, famosa Ygritte di Game of Thrones, entrambi provenienti dalla Perfida Albione e qui votati con dedizione attoriale davvero sorprendente all'accento yankee, formano un idillio d'una naturalezza a tratti commovente: nella prima mezz’ora, quando ancora l'ombra dei misteri e delle stranezze inquietanti sono ben lungi dal frapporsi nell'intesa dei due partner, i due interpreti sembrano sul serio una coppietta di colombi innamorati, completamente rapiti dai piccoli gesti affettuosi, dalle risate smielate che scoppiano come petardi, dalle celie ironiche e capricciose che sfociano in amplessi mugolanti d’amore: tutto l'armamentario insomma che ci si aspetta da una luna di miele plausibile e coinvolgente, mostrato qui con grazia e partecipazione (qualcuno ha scritto in rete che questa è la parte debole del film poiché non succederebbe granché, ma non si possono davvero immaginare gli sviluppi successivi se, come spettatori, non finiamo risucchiati nella quotidianità sdolcinata e ancora piena di passione di una coppia di neosposini).
Honeymoon si basa infatti su una struttura semplice e in fondo abusata, quella per la quale, una volta scrostata la patina di idealizzazione, la persona che abbiamo accanto non è più la stessa. La Janiak è consapevole che i suoi spettatori conoscono a menadito le infinite declinazioni di tale esercizio narrativo (gli echi di Rosemary's Baby ci sono tutti e sono dichiarati) e pertanto dà per scontato che chi guarda sappia (o intuisca) senza troppe complicazioni ciò che sta accadendo a Bea, molto prima che il povero Paul se ne renda conto. Sceglie quindi il punto di vista ignaro e sempre più attonito di Paul per occultare alla macchina da presa ciò che sta passando Bea, il suo conflitto lacerante e penoso, e il pubblico vive la vicenda con gli occhiali confusi e interdetti del giovane sposino (ma con la certezza, rispetto ad esso, che qualcosa di vischioso e profondamente sbagliato si sia annidato nell'utero della sposa). Perché il fulcro del film non è tanto la presunta inseminazione extra-terrestre quanto la messa in discussione dell’identità della persona amata, così come la concepiamo attraverso il diaframma dei ricordi condivisi e delle proiezioni reiterate quotidianamente nella nostra immagine riflessa nei suoi occhi.
Honeymoon risulta in finale un film ipnotico, la cui originalità è costituita tutta dalla bravura di un cast brillante e assai azzeccato (vabbe', se decidi di dare tutto in mano ad attori inglesi hai già portato a casa mezzo risultato). Ma anche nella mano ferma delle inquadrature, nella toccante deriva lynchana dell'ultimo quarto d'ora, e nella bella atmosfera rural-lacustre che non vorresti mai fosse corrotta dal «disturbante», che invece è lì, in agguato, pronto ad azzannarti sul collo.
Il terrore viene dall'esterno (la casa viene investita ogni notte da fasci di luce presumibilmente provenienti da un’astronave) ma scava e semina panico da dentro: l’amore intaccato sfocia d'acchito nella paranoia, i comportamenti di lei si fanno sempre più insostenibili e al consorte non resta che tentare un'estrema resistenza “emozionale” fatta di vane richieste d'intimità e chiarezza che non fanno che innalzare il grado di separazione. Nelle mani della brava Janiak il coté fantascientifico diventa un mezzo, quasi un’estensione della lenta decomposizione del rapporto fra i due novelli sposi. Gli alieni siamo noi, sembra dire, per noi stessi e per chi ci sta attorno. Ecco la vera, tremenda rivelazione. Come sottolinea la stessa Janiak: «Quando tornerai a casa dal cinema, quando entrerai nel letto assieme al tuo partner, spero che un sussurro nell’orecchio ti dica: chi è la persona accanto a te?».

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