martedì 9 giugno 2015

all'inferno non si beve birra...

(su cronache letterarie si parla d'inferno).
È inconfutabile che è il morso del cane a far scaturire le parole forsennate che compongono le pagine dei libri di Omar Di Monopoli, scrittore, grafico e sceneggiatore pugliese.
Proprio come, in quella terra bruciata dal sole che è il sud di tutti i sud del mondo, è il morso del ragno a scatenare i passi del ballo ossessivo e circolare il cui ritmo segna i battiti del cuore delle infinite estati del sud di tutti i sud.
Realtà o fantasia, cronaca o divagazioni horror, tutto viene raccontato con la frenesia dei latrati di un cane rabbioso che sconquassa l’anima e lascia presagire il dolore delle zanne che affondano nella carne.
Non è un caso che i personaggi nati dalla fantasia di Omar Di Monopoli finiscano molto spesso sbranati dai cani: il loro destino era già segnato dai morsi più profondi del degrado suburbano, da quell’accumularsi di ignoranza e miseria, detriti sospinti dalla risacca della vita che si depositano sulle esistenze degli uomini soffocandole senza alcuna pietà.
In Omar Di Monopoli già la scrittura è un presagio. Con il suo mischiare frasi in elegante italiano a espressioni dialettali, l’autore crea una sorta di fastidio, di aggressione lessicale che è il preludio della violenza che, prima o poi, verrà raccontata in tutta la sua stupidità. (Franco Stivali)

1 commento:

CREPASCOLO ha detto...

Nonono. No. Eppure mi si chiedeva un sì. Come odio i sottosegretari, i portatori d'acqua e di borse. Morsodicane se ne stava tutto compreso nella seggiolina davanti alla mia scrivania, piccolo e magro come le gambette di certi ragni con il corpo come la batteria dell'amplifon del nonno che vedevo arrampicarsi in Brianza. Le bestie con le zampettine, non il nonno. Come odio scrivere e raccontare e raccontarmi, ma il mio dottore dei pazzi dice che mi fa bene e che non sono pazzo e io lo guardo e penso che un po' matto sono perchè mi costa un perù eppure ogni martedì sono lì da lui.
Dicevo e scrivevo di Morsodicane che ci aveva spedito un suo romanzetto, cosa non tanto importante quanto lo e-mail dello zio portaborse di un sottosegretario e diretta al mio capo che a sua volta me l'aveva inoltrata con un corollario che stigmatizzava l'occasione per la Stivali Editore di dare un calcio dove fa male alla paludata concorrenza, sguinzagliando sul mondo ignaro Morsodicane e la sua storia. Non sembra, caro Dottor Perù, ma io ho una coscienza. Posso editare qualsiasi cosa e fare della bio di un ceffo analfabeta della curva sud un vibrante avviso ai naviganti che stigmatizzi i meccanismi che portano seco un preludio della violenza. Tanto per dire. La cosa di Morsodicane - cento paginette fitte di dialoghi tra due cuori in attesa di trapianto che viaggiano sullo stesso aereo nelle loro crioscatole in cui si confrontano la ignoranza e la miseria di quei donatori ormai altrove e le speranze dei muscoli espiantati di palpitare dopo il crepuscolo nelle infinite estati del sud - non aveva nessuna chance di farsi strada in un mercato ripieno di vampiri innamorati ed inside jokes con ricadute bibliche nei capolavori rinascimentali. Nonono. Non è nemmeno quello, Doc Perù. Semplicemente non volevo che "A Cuor Leggero" uscisse ed infettasse quei poveri lettori. Così ho sorriso e ho detto a Morsodicane che annusavo un capolavoro, solo che si fosse rimesso al lavoro per limarlo perchè la scrittura è presagio, la procellaria che non notiamo fino a che è troppo tardi. Una gabbia seducente, come direbbe il signor Pelù, caro Dott. Perù. Sintesi come ascesi al Cielo. Almeno dieci anni di auto-editing lontano da tutto, la mia ricetta, caro Doc. Si è convinto, è uscito. Due gg fa.
Oggi ho trovato uno e-mail del capo. Non si è disturbato nemmeno a ricevermi nel suo ufficio.