giovedì 9 aprile 2015

Pincio sul pezzo...

(oggi proprio di frettissima, ché ci aspetta il medico per esami del sangue, elettrocardiogramma e altri cazzi sanitari. Segnaliamo la sempre invidiabile penna di Tommaso Pincio al servizio di una bella analisi del lavoro di Salinger)
Qual­cuno ha detto che gli scrit­tori non si disco­stano mai dal libro d’esordio. Jerome D. Salin­ger sem­bre­rebbe esserne la dimo­stra­zione: siamo nel gen­naio 1940, l’uomo che avrebbe domi­nato la scena let­te­ra­ria ame­ri­cana dell’immediato dopo­guerra sta per com­piere il ven­tu­ne­simo anno di età quando dalla rivi­sta «Story» gli comu­ni­cano che un suo rac­conto è stato accet­tato e verrà pub­bli­cato a breve. Mal­grado gli piac­cia osten­tare un atteg­gia­mento distac­cato, il gio­vane Salin­ger è ovvia­mente esal­tato: dice che, fino al momento di quella pub­bli­ca­zione, ogni giorno sarà per lui una vigi­lia di Natale. Nella pri­ma­vera dell’anno pre­ce­dente l’ambizione di diven­tare uno scrit­tore pro­fes­sio­ni­sta lo aveva spinto a repri­mere l’insofferenza per il mondo acca­de­mico e le scuole in genere. Si era iscritto a un corso serale di scrit­tura crea­tiva presso la Colum­bia Uni­ver­sity, tenuto da Whit Bur­nett, guarda caso diret­tore di «Story».
L’aggettivo pro­fes­sio­ni­sta, acco­stato alle ambi­zioni di un gio­vane scrit­tore, potrà forse sor­pren­dere, ma è per­fet­ta­mente in linea con la tem­pe­rie di allora, ben sin­te­tiz­zata dalle parole di Bren­dam Gill, per anni col­la­bo­ra­tore del «New Yor­ker»: «È dif­fi­cile per gli scrit­tori di oggi ren­dersi conto di quanti fos­sero i gior­nali che si con­ten­de­vano rac­conti negli anni trenta e qua­ranta: ed è dif­fi­cile ren­dersi conto di quanto li pagas­sero». Quanto è pre­sto detto. Rivi­ste come «Collier’s», «The Satur­day Eve­ning Post» e «Harper’s» rap­pre­sen­ta­vano la desti­na­zione migliore per chi volesse cam­pare di scrit­tura, erano chia­mate «the slicks», le pati­nate, e arri­va­vano a pagare anche due­mila dol­lari per un rac­conto. La vetta della sofi­sti­ca­zione era tut­ta­via costi­tuita dal «New Yor­ker» e da «Esquire», rivi­sta, quest’ultima, che si era costruita una repu­ta­zione pub­bli­cando Heming­way e Fitzgerald. «Story» rien­trava in un rango più basso, ma godeva comun­que di una repu­ta­zione suf­fi­ciente per­ché un gio­vane di belle spe­ranze potesse con­si­derla un tram­po­lino otti­male, tanto che in seguito Nor­man Mai­ler l’avrebbe ricor­data come una leg­genda: «Nei tardi anni trenta e in quelli della seconda guerra mon­diale, i gio­vani scrit­tori sogna­vano di com­pa­rire sulle sue pagine all’incirca come il mirag­gio di un ser­vi­zio su “Rol­ling Stone” può oggi met­tere un gio­vane gruppo rock in uno stato trascendentale». (continua qui sul sito di Pincio)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Pincio è un grande!
(Pippo)

sartoris ha detto...

Pippo non sai quanto sono d'accordo :-)))