domenica 8 marzo 2015

nei meandri del serpente...

cominciamo con un piccolo coming out: da queste parti, dopo aver cercato a tutti i costi di nasconderlo (perfino a noi stessi), abbiamo recisamente messo da parte ogni resistenza snob per riconoscere senza infingimenti un vero e proprio debole per il talento e la bellezza di Kristen Stewart.
Come dimostrano le ottime performance di Still Alice e di Camp X-Ray, infatti, la giovane attrice statunitense ha - secondo il nostro modesto parere - tutti i numeri e le carte in regola per farsi perdonare quell'obbrobrio che è stata la saga di Twilight. Pure, qualora qualcuno avesse nonostante tutto ancora dei dubbi circa la bravura dell'imbronciata star californiana, non potremmo allora che rimandarlo all'immediata visione di Sils Maria, una pellicola che raggruppa tre dei migliori talenti recitativi al femminile del più recente panorama cinematografico occidentale (oltre alla Stewart, c'è la BinocheChloë Grace Moretz) e che è, incidentalmente, anche un fottutissimo capolavoro.
Firmato dalla raffinata mano di Olivier Assayas, già rinomato critico dei Cahiers, il film affronta principalmente tre tematiche che si mescolano e si accavallano con funambolica ambiguità: l'omosessualità, lo scontro generazionale e l'eterna simbiosi tra recitazione e realtà. Tutti temi sicuramente già scandagliati dall'arte e che vantano non a caso ognuno esperimenti d'inimitabile grandezza - basti pensare a Persona di Bergman o al classico Eva contro Eva di Mankiewicz - ma Assayas riesce qui a declinare in forma nuova topoi cui il cinema e la scrittura stanno ultimamente tornando a riflettere con sempre maggior vigore (si pensi anche a quel Birdman che ha fatto incetta di Oscar), regalandoci un'opera davvero densa e paradigmatica.
Il gioco drammaturgico al centro della narrazione parte da un film fittizio: Maloya Snake, che riguarda il rapporto tra una donna matura (Helena) e una ragazza più giovane, Sigrid, che la soggioga. Maria (Juliette Binoche) deve il suo successo all’interpretazione che a soli diciotto anni aveva dato della seconda e ora, a molti anni di distanza, è chiamata a intepretare la prima, a teatro: è la resa dei conti, il prezzo da pagare al proprio successo, contrappasso che si concreta nella condivisione del palcoscenico con una nuova star in ascesa, rivivendo il cruciale dramma dalla prospettiva più scomoda e dolorosa, quello della tormentata, e infine suicida, Helena.
La complessa relazione tra le due donne dell’opera sembra replicarsi in quella tra Maria e la giovane assistente Valentine (la Stewart), rispecchiamento che sfiora lo sconfinamento dimensionale quando la diva prova la parte servendosi della ragazza come coach proprio nei luoghi a cui il dramma fa riferimento: le due si confrontano e si immedesimano, le prove della pièce confondono recita e realtà, i loro dialoghi suonano ambivalenti.
Ma il caledoiscopico gioco dei riflessi è ben lungi dall'esaurirsi così: Maria è, infatti, alla stregua della vera Juliette Binoche che la interpreta, un’attrice europea che ha avuto successo ad Hollywood, divisa tra teatro, film d’autore e blockbuster; come lei è una riconosciuta icona della bellezza (lo shooting fotografico per Chanel che richiama la campagna Lancôme di cui Binoche è stata testimonial). Mentre la Stewart è anche, con ogni evidenza, la nota teen-idol che si rispecchia nel personaggio della reginetta del mainstream Jo-Ann (impersonata dalla Grace Moretz), chiamata a ricoprire il ruolo della giovane manipolatrice, che fu di Maria. Alla maniera dell'attrice di Twilight, la Jo-Ann della finzione è una v.i.p. contemporanea, inseguita nella realtà sui media da una massa curiosa di fan sfegatati e ferocissimi haters.
Il rapporto tra l’attrice e l’assistente (l'una l'estensione dell'altra: con la Binoche che odia la tecnologia e la Stewart che si divide tra due o più smartphone) è come dicevamo un palese riferimento al rapporto tra la grande vedette Margo (Bette Davis) e la sua assistente Eva (Anne Baxter) di mankievicziana memoria, per quanto questo sia solo un percorso illusorio della storia, dacché tale sviluppo nei fatti - pur fatto balenare - viene tosto disatteso: qui l’assistente non vuole sostituirsi affatto alla diva, ma allaccia con essa un rapporto ambiguo e simbiotico, espressione di una passione taciuta (sincere e toccanti le manifestazioni di interdipendenza affettiva nella coppia: con la diva che chiede alla sua protetta di raccontarle le sue beghe sentimentali oppure semplicemente di non lasciarla sola) che conduce il regista dritto dritto verso il mito di Bergman: le vette di Sils Maria diventano quindi l'isola fisica e mentale di Fårö, Maria attrice di teatro come la Elisabeth Vogler di Liv Ullmann e Valentine infermiera/confidente come Alma/Bibi Andersson in Persona.
Girato tra le stupende alture della valle dell'Engandina in Svizzera, Sils Maria è una riflessione tesissima e appagante sull'arte e sul tempo che inghiotte tutto, e sulla capacità dell'uomo di rigenerarsi se è disposto a perdere pezzi di sé e rinunciare al privilegio della giovinezza. Un gioiello: consigliatissimo!

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