lunedì 22 settembre 2014

...su Recensionilibri

«In un altro tempo, in un altro mondo, ma nello stesso pianeta: dove sono ambientati i racconti di Omar Di Monopoli? Nell’Italia meridionale, questo è certo, ma quella descritta dallo scrittore di Manduria (Taranto) sembra la degna erede del Sud da inferno e paradiso che apparve a Goethe, secondo l’espressione dei colti viaggiatori dei Grand Tour del ’700 (Napoli, un paradiso abitato da diavoli) ripresa da Croce.
Quanto agli anni in cui si svolgono, i dieci titoli raccolti in Aspettati l’inferno (edizioni ISBN, 172 pagine), dovrebbero risalire agli Anni Settanta. Il sospetto viene dalla Simca della prima storia, l’auto dello zio Tonino, ma anche dalle botte che i padri rifilano di santa ragione ai figli, quando ne combinano una peggio dell’altra a scuola, nella stessa vicenda. Oggi non andrebbe così. Finanche nei quartieri bene, le mamme prendono professori e presidi a male parole - quando non passano a vie di fatto - appena gli educatori si azzardano ad osar sgridare l’irrefrenabile prole.
Altro sospetto di localizzazione ante Duemila deriva dall’apprendere che accanto al paese di Enrico Saraceno, figlio di un cassintegrato, vogliono costruire una centrale nucleare. Da mò è che non se ne parla più in Italia di energia sporca, direbbe Omar, con la caratteristica scrittura meridional style o più precisamente apulian style, che caratterizza le sue pagine, ravvivate da invenzioni lessicali, dialettismi, storpiature creative, elaborazioni vernacolari. Ad uso dei lettori, va segnalato peraltro che il manduriano scritto potrebbe evocare accenti calabro-siculi, ma resta pur sempre un’inconfondibile parlata del Sud. Contesto, siti, accessori e particolari sembrano decisamente retrò. In alcuni racconti, scorrono in televisione per i piccoli i cartoni di Fantaman e dell’Ape Magà. Le biciclette dei bambini sono Graziella. Il Settentrione lo chiamano “Altitalia”: da quanto tempo è Nord e basta, tutt’al più Padania?
In altre vicende si passa a situazioni da vera fantascienza, con gli altri, gli ufo - anzi, gli ufi, come li chiama Sputazza - che clonano terrestri, manco fossero nel film Gli ultracorpi. E c’è spazio anche per l’horror, per la superstizione, per le vicende storiche, per i lupi mannari scatenati nella confusione che accompagna la Repubblica partenopea del 1799.
Magiche, quasi sempre, risultano soprattutto le donne. Belle e brutte, giovani e anziane. Mamme, sorelle, fidanzate, mogli, spasimanti, amanti. Non si può dire che Di Monopoli non le consideri. Alcune risultano magnetiche, altre prepotenti, molte sono i classici angeli del focolare, qualcuna è una mamma padrona, altre le solite colonne della famiglia, sia pure autoescluse sullo sfondo. Poi c’è Alina, siberiana, pelle candida, occhi di brina, meravigliosi. E che contrasto tra la bellissima carusa (ragazza) dai capelli d’oro e due gambe accussì che invecchiando diventa Ghitecchia, la masciara, la strega, con la faccia tutta rughe di cartapesta, una colpevole bella e pronta per farle scontare tutti i delitti oscuri in zona, li abbia commessi lei o meno.
È un torbido e feroce meridione da western, la grande passione di Omar, autore ma anche grafico e sceneggiatore. Non è un paese per deboli di cuore. Combattimenti di galli, un dobermann che si chiama Himmler, rave party tra le sterpaglie di poligoni militari dismessi. Odiosi caporali che lucrano sul lavoro degli extracomunitari nei campi, viaggiano in SUV con l’aria condizionata sparata e maneggiano cellulari di ultima generazione. Poco lavoro e mal pagato, disoccupazione, torti subìti e ingiustizie commesse, contraddizioni sociali, abusivismo, spazzatura. Gente per male, come i “diavoli” di Goethe.
Una Puglia poco presentabile, lontana da quella tutta pizzica, folklore e villaggi estivi dei rotocalchi e delle news. All’autore sta bene così. È pugliese, non può essere accusato di lesa maestà».

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