lunedì 7 luglio 2014

manoscritti in viaggio per gli USA...

Quasi sconosciuto alle nostre latitudini, Larry Brown ha goduto in vita, e gode tutt'ora, di una grandissima fama negli Stati Uniti.
Autore di saggi, romanzi e raccolte di racconti, ha vinto due volte il Book Award per la narrativa meridionale, nel 1992 con il romanzo Joe e nel 1997 con Padre e Figlio. Più volte paragonato a Cormac McCarthy, William Faulkner e Harry Crews, lo scrittore ammetteva invece influenze minimaliste ed aveva - stranamente, visto il genere di narrativa che costituiva il suo percorso d'autore - una particolare predilizione per Charles Bukowski.
Proprio al vecchio Buk si rifà questo esile ma potente 92 giorni, in definitiva l'unico libro dello scrittore statunitense ad essere circolato nel Belpaese grazie alla meritoria opera della minuta (ma prestigiosa) casa editrice Mattioli 1885.
Nel volumetto, curato e rilegato magistralmente come di consueto per le edizioni di questo editore, si srotola agile e apodittica la storia di Leon Barlow, dichiaratamente un alter ego di Larry Brown, aspirante scrittore che già a poche pagine dall'incipit ritroviamo a smadonnare in lacrime dopo aver ricevuto l'ennesimo rifiuto da parte di alcune case editrici. Afflitto da una solitudine strenuamente difesa, Leon vive di stenti, scrivendo e bevendo birra in quantità mentre i suoi racconti si spostano attraverso l'America sigillati entro buste marroni: partono destinate agli editori e tornano inesorabili al mittente. Finché la editor Betti DeLoreo non risponde con una breve nota di apprezzamento e di stima che aprirà uno squarcio nel nero plumbeo del tran tran quotidiano. Ma i soldi mancano, l'ex moglie batte cassa e i figli hanno bisogno di amore. Barlow si muove fra la sua casa deserta, il bancone di un bar, l'abbraccio dei suoi figli e il lavoro e la macchina per scrivere, spesso annebbiato dall'alcol, ma mosso da un'umanità e una compassione che toccano profondamente.
Storia già letta mille volte, quindi, se non fosse che Brown è davvero ammirabile nel trasformare la sconfitta in poesia. È il suo stile diretto, unito alla profondità di sentimenti, a incantare il lettore: più che ai grandi scrittori barocchi del Sud l'asciuttezza della scrittura di Brown rimanda alla tradizione "paratattica" di Carver quando non a quella di Fante padre e figlio (il protagonista di 92 giorni ricorda in maniera immediata quello del romanzo d'esordio di Dan Fante) ma c'è un precipuo candore, soprattutto nella descrizione dell'universo femminile, a rendere queste pagine uniche nel loro genere.
Libro sinceramente affascinante, ti rapisce a tradimento irretendoti nelle sue atmosfere pregne di un dolore misurato quanto inestirpabile: alla fine però dispiace di non poter leggere nella nostra lingua i romanzi più southern di questo autore morto a poco più di cinquant'anni nel 2004 dopo aver fatto mille mestieri tra cui il pompiere (è nota la presenza di un gruppo di commossi colleghi in uniforme al suo funerale): sarebbe infatti interessante godersi la resa cartacea di una storia meridionale molto alcolica e sofferta come quella alla base del film Joe, che proprio dal capolavoro di Brown è tratto.

92 giorni - Larry Brown (Ed. Mattioli)

2 commenti:

LUIGI BICCO ha detto...

Questo mi è capitato di sfogliarlo proprio un paio di settimane fa. Il mio libraio di fiducia ha i libri Mattioli 1885 in bella vista proprio sul bancone della cassa (eecco perché ho comprato l'Hotel Azzurro di Crane).

L'incipit in effetti era sembrato molto Bukowskiano anche a me. Ma se poi come metro di paragone mi tiri fuori insieme Carver e Fante, capisci anche tu che forse è il caso di portarselo a casa, questo libro :)

sartoris ha detto...

Ne vale la pena sicuramente, mounsier Bicco, anche se secondo me la scrittura di brown è tutta un'altra storia. Questo sembra un esperimento. Un omaggio a.. (oggetto bellissimo però. Mattioli ci contano parecchio, sulla confezione)