mercoledì 30 aprile 2014

inferni di confine...

Da fieri estimatori del verbo mccarthyano, abbiamo atteso il definitivo depositarsi delle polveri prima di approcciare a The Counselor, magniloquente trasposizione a firma Ridley Scott di una sceneggiatura originale (pensata direttamente per il grande schermo) del magister premio Pulitzer Cormac. L'attesa per la confezione del prodotto era paragonabile solo al terrore (tutt'altro che latente) di una cocente delusione, un mix indigesto di emozioni contraddittorie in virtù delle quali ci eravamo faticosamente tenuti alla larga dal crogiolo di disamine del film che, come ovvio, infestano il web (salvo non riuscire a non leggerne almeno una, questa, firmata da uno scrittore che del grande bardo texano conosce a menadito guizzi, vezzi e grandezza) e che alla fine, a visione ultimata, ci sentiamo in parte di confermare ma anche di scacciare con fastidio: The Counselor è un film sicuramente imperfetto, qua e là persino terribile, ma è un film cocciutamente, mirabilmente figlio della più sanguigna visione di Cormac McCarthy.
La trama s'impernia su un traffico milionario di droga tra il Messico e gli Stati Uniti. Le parti in causa, cui corrisponde un cast assolutamente da sturbo, sono: un avvocato che si lancia per la prima volta in un’operazione del genere, il più esperto e appariscente Reiner, che coinvolge il procuratore nell’affare, e Westray, intermediario che si occupa del trasferimento di denaro e dei contatti col cartello messicano. A fianco dell’avvocato la fidanzata Laura, promessa sposa di religione cattolica; accanto a Reiner la seducente Malkina, ex ballerina proveniente dalle Barbados priva di scrupoli. Avvenuto il passaggio del carico di droga occultato in un trasporto di liquame, la situazione si complica a causa delle macchinazioni di Malkina, che, con l’aiuto di complici, si appropria del camion provocando la rappresaglia della malavita messicana.
A parte la serqua di questioni che il plot della pellicola lascia (volontariamente?) irrisolte (chi regola le dinamiche che interagiscono in questo plumbeo universo di malaffare? Per quali motivi alcuni individui la fanno franca o sopravvivono e altri vengono uccisi più o meno accidentalmente? È veramente una coincidenza che il figlio di Ruth, detenuta del penitenziario di stato del Texas e difesa dal procuratore, sia anche il Green Hornet del cartello messicano?) ciò che è indubbio è il portato metaforico e beffardo insito nella vicenda: i personaggi in campo, tutti più o meno parodie riuscite di cliché del genere, sono pedine mosse dagli autori con l'evidente obiettivo di sabotare le regole della narrazione cinematografica ortodossa: se il noir richiede linearità, azione e sviluppo degli elementi in gioco, in The Counselor (come, a ben guardare, in ogni opera di McCarthy) è soprattutto il fato a farla da padrona, un fato ovviamente crudele e inesorabile che sembra incombere sui destini degli uomini senza lasciargli scampo.
Donne talmente cattive da sembrare felini (come la Cameron Diaz famelica manovratrice degli affari di un Javier Bardem trafficante sopra le righe) e cowboy-businessman come il saggio Brad Pitt (che in una battuta cita Mickey Rourke, un altro attore che, ai bei tempi, non avrebbe sfigurato nell'arazzo architettato dai burattinai dietro la macchina da presa) sfilano davanti agli occhi dello spettatore tediandolo con apoftegmi ora geniali ora irritanti, ma sempre pregni di quel ritmo biblico che costituisce l'ossatura dell'intera opera di McCarthy. Lo scrittore si guarda bene dall’illustrarci come i per­so­naggi siano arri­vati a essere quello che sono; sem­brano non avere pas­sato (il pro­cu­ra­tore, splendidamente impersonato da un Fassbender in fortissima, non ha nem­meno un nome) e sop­pe­sano ogni cosa, a comin­ciare dal pastic­cio in cui si sono fic­cati, come fosse un pae­sag­gio che stanno con­tem­plando. Par­lano di sesso, di avi­dità, del pre­ci­pi­tare degli eventi, ma ne par­lano come fos­sero que­stioni filo­so­fi­che o pro­fe­zie che si avverano. L'azione è quasi nulla (tipo: la decapitazione in moto di Green Hornet tramite un filo teso sulla strada che sembra presa paro paro da un b-movie di Ruggero Deodato, I Predatori di Atlantide) ma quella poca lascia il segno.
Il tutto è condito da questa attesa, questo plateale stallo che in realtà non ha soluzione, perché tutti i giochi sono fatti ed è solo il banco a vincere sempre. Film potente ma con riserva: dal più degno erede di Faulkner ci aspettavamo un po' più Peckinpah e meno Godot (ma è pur sempre una spanna più su di un fracco di roba).

3 commenti:

CREPASCOLO ha detto...

Il padrone della bettola sbadiglia e si gratta la pelata. E' quasi l'alba, ma Cormac e Peckinpah continuano a parlare e bere, soprattutto parlare. Gli hanno detto che aspettano Godot, un loro amico. Peck è sbronzo come un picchio e racconta di Godot, un clochard che era stato il suo Neal Cassady ( " aveva la smorfia di Jase Robards e se un dollaro fosse mai caduto nelle sue tasche sarebbe caduto in depressione " ) che era tanto rustico ed americano da non saper pronunciare correttamente parole come Javier
( anche Crepascola mi prende in giro per la stessa ragione ! ndr ) o apoftegma. Peck aveva lavorato come un mulo per tirare fuori Godot dall'ospizio in cui vegetava, ma quando aveva il rotolino verde necessario, il gerente del lager gli aveva detto che il barbone si era dato, come le gonne lunghe in primavera.
Cormac ricorda che aveva incontrato Godot per caso
( " tutto quello che ha senso succede per caso che è il nome che diamo alla ns incapacità di accettare la ns incapacità di tracciare le coordinate del caso in caso esista una mappa da qualche parte che qualcuno potrebbe rinvenire, per caso " ) ad una convention di tombaroli
( " avevo letto in un Sandman di Gaiman che anche i serial killers possono riunirsi in alberghi e scambiare impressioni sul loro lavoro , ma non pensavo che anche i predatori di Atlantide avessero i loro meetings ! " ).
Poco prima del sorgere del sole, l'oste ne aveva abbastanza e scaraventò i due cosi fuori dal trani, senza tanti complimenti.
Godot arrivò dopo il crepuscolo. Pazienza.

sartoris ha detto...

@Crepa, Robards come Cassady per Peck ci sta tutto, bella intuizione :-)

CREPASCOLO ha detto...

Confesso di aver rifritto x Peck una cosa davvero successa a Jim Thompson ( il rapporto con Peck è naturalmente il film con " Doc " McQueen ed
"amoresignificanondiremaimidispiace") - in sintesi: il papà di Jim è in ospizio x poveri. Lo scrittore lavora e lavora fino a che non pubblica e ha finalmente i soldi x far uscire il papà , ma questi è già partito per le Grandi Praterie. Peccato.