giovedì 6 marzo 2014

paura del dugongo!

Con Long Weekend (2008) il regista horror Jamie Blanks rivisita in chiave moderna il piccolo cult-movie omonimo del 1978. Attenendosi in maniera quasi pedissequa all'originale, il film parte con una caratterizzazione plausibile e ficcante della coppia di protagonisti: Carla (Claudia Karvan) e Peter (Jim Caviezel, il Gesù Cristo de La passione di Gibson, qui assolutamente in ruolo con quel suo sguardo un po’ anodino e il fisico nervoso ma provvisto d'un accenno di panzetta).
Sfruttando con intelligenza il fascino inquietante della natura indomita che bordeggia le coste dell'Australia (è inevitabile: lo spettro di Picnic ad Hanging Rock aleggia su gran parte della produzione thriller/horror di matrice australiana), la pellicola mette in scena le ultime, stanche battute di un menage vistosamente al capolinea: nella speranza di rinfocolare il sentimento in crisi, i due coniugi partono con il cane di lui per un weekend su una spiaggia isolata, un posto incantevole conosciuto solo dai surfisti. Dovrebbero andarci con una coppia di amici, quest'ultimi però non si vedono mai, fanno perdere le proprie tracce, i telefonini non prendono. Giunti quindi in solitudine a destinazione, Peter si dedica alle sue attività preferite (pesca, nuoto, birra e tiro al bersaglio contro qualsiasi cosa) mentre Carla, sempre più isterica e insofferente, gli si nega sessualmente. I rapporti tra i due, invece di migliorare, si deteriorano sempre più e, come se non bastasse, la natura sembra accanirglisi contro quasi a mo' di vendetta per i reiterati comportamenti anti-ecologici (lui getta i rifiuti in mare, lei non muove un passo senza insetticida e la loro macchina strazia senza troppi scrupoli un canguro, un granchio, la vegetazione incontaminata). Se sino a questo momento il film procede efficacemente per accumulo, con musiche evocative e una giustapposta scansione degli elementi di tensione, purtroppo nella seconda parte la trama s'ingolfa senza appello, tentennando tra lo spiegone e il sovrannaturale. Si accumulano così gli eventi indecifrabili, con risultati che a volte scadono nel ridicolo involontario (il dugongo incute più tenerezza che paura) ed un finale sbrigativo - e moderatamente splatter - che sa tanto d'improvviso inaridimento d'idee. Ambizioso negli intenti, il film sulla lunga durata risulta deficitario dell'adeguata impalcatura filosofico-concettuale necessaria a sostenerne lo svolgimento, ritrovandosi alla mercé di un simbolismo criptico, alla lunga tedioso. Occasione perduta, Jamie!

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