giovedì 4 luglio 2013

manichini insanguinati...

Che magnifica sfida, quella di riportare sul grande schermo l'ormai abusatissima figura del serial-killer riuscendo al contempo ad aggiornarla all'estetica contemporanea senza però toglierle nemmeno un'oncia della sua disgustosa quanto oscura fascinazione e anzi, addizionando nella rappresentazione delle sue gesta - attraverso il meccanismo del POV (Point Of View) - il giusto gradiente di empatia, buono a percepirne l'inferno senza arrivare mai a parteggiare per la violenza intollerabile che si consuma davanti ai nostri occhi.
Maniac, remake di un filmaccio (nel senso più godurioso) del 1980 firmato da William Lustig, era tra gli horror più attesi in assoluto: ai suoi primi timidi passaggi nei vari festival di mezzo mondo aveva già conquistato il plauso di critica e pubblico e le premesse, dopo la visione in sala del film, sono confermate da un prodotto che riesce senza tema di smentita nell’arduo compito di offrire una rilettura all’altezza di quella del predecessore, ammodernandone il senso e l'estetica.
Nelle mani della premiata coppia Aja/Levasseur (Le colline hanno gli occhi più altre robe che non hanno mai veramente eguagliato il loro primo, inarrivato Alta tensione) in veste di produttori, il progetto si fa potente e innovativo: affidato alle qualità registiche di Franck Khalfoun, Maniac si rivela opera capace di frullare molte cose: le atmosfere pulp e la musica elettronica di commento al ralenti portano immediatamente alla mente Drive e un certo tipo di produzione ungerground di lusso, ma il fulcro dell'opera rimane saldamente ancorato alla delirante dimensione orrorifica costituita dalle cacce sfinenti in cui è impegnato il protagonista Frank alla ricerca delle sue vittime; non risparmiandosi qua e là in efferatezze pari solo a quelle del primo, inarrivabile Argento.
Spostata l'ambientazione del film da New York a una Los Angeles colta nella sua più cruda spontaneità notturna, lo staff dietro la macchina da presa indovina anzitutto la scelta del ruolo primario, quell'Elijah Wood che dalle faccette di Frodo ne Il Signore degli Anelli passa ad incarnare qui lo psicopatico dolente e malinconico al centro della vicenda: bravo nel rendere la misura della sua diversità (il maniaco è un orfano che restaura manichini all'ombra di una madre particolarmente prodiga, in vita, a dispensare le sue grazie in giro con gli uomini) ma che soprattutto è anche fisicamente agli antipodi di quello che era Joe Spinell, sgraziato e dozzinale interprete su cui si basava in fondo la forza dell'originale di Lustig (qui comunque in veste di consulente).
Wood entra perfettamente nella parte nonostante il suo viso appaia solo di riflesso nelle vetrine e negli specchi rotti, offrendoci un volto che genera ora inquietudine ora tenerezza. Per il resto l'interpretazione si sostanzia nella visione delle sue mani al lavoro, mani piagate che l'attore graffia duramente con la paglietta di ferro per nettarsi il sangue di dosso fino a scorticarne la pelle, mani che accoltellano alla gola e straziano i visi, che incidono il cuoio capelluto per strapparne di dosso i capelli in sequenze al limite del sostenibile. Grazie all'espediente della macchina da presa conficcata in mezzo agli occhi di Frank, noi non osserviamo semplicemente il killer. Noi SIAMO il killer. E ci portiamo addosso tutto il suo inaccettabile dolore, ogni suo folle rovello esistenziale, fino ad avvertire sulle nostre spalle il peso della sua indicibile solitudine. Senza per questo giustificarlo ma anzi sentendoci sporchi e fatti male anche in seguito, a visione ultimata.
Un film che, al netto di qualche trascurabile sbavatura di script (per esempio una certa mono-dimensionalità delle vittime: possibile siano tutte così antipatiche, solitarie e quasi meritevoli di essere uccise? E che dire dello strano rapporto che lega il protagonista ad Anna, la bellissima Nora Arnezeder, sorta di dea che non si riesce proprio a capire come possa avere attenzioni per un freak trasandato come il Wood di questo film?), ci consegna una rappresentazione convincente e riuscitissima di un assassino seriale ai giorni nostri. Strepitoso, disturbante e sinceramente doloroso come di rado hanno saputo essere prodotti mainstream come questo, negli ultimi decenni.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Minchia, ne parlate tutti bene e mi sa che vale il biglietto :-)

Ethel

sartoris ha detto...

ehila Ethel, ci si ritrova ;-) Il film è incredibile, ancora mi rimbomba in testa: consigliatissimo (ma alcune scene sono per stomaci forti, eh?)

Anonimo ha detto...

anche l'originale però era disturbante, grezzo certo quanto si vuole, ma disturbante!

PIPPO

sartoris ha detto...

Pippo, assolutamente d'accordo. E Spinell era un perfetto buzzicone psicopatico :-)