martedì 6 novembre 2012

Sara senza acca...

C’è questa ragazzina, quindici anni, un giunco minuto e fragile dai modi aggraziati, in bocca il sorriso un po’ perplesso tipico della sua età. Si chiama Sara. Sara senza l’«H» finale, perché questa Sara non c’entra nulla con quell’altra più nota, quella sul cui assassinio i media hanno banchettato. Questa Sara non esiste. Ce la stiamo solo immaginando.
Lei è una ragazzina sveglia e tranquilla. Vive in un paesino sparpagliato in mezzo alle brulle campagne dell’entroterra jonico, un piccolo centro non dissimile da un sacco di altri posti della periferia italiana: gente semplice, vita scandita dal ritmo delle messi. Quattro case messe in croce nel giogo delle quali le campane della chiesa risuonano stantie giorno dopo giorno: un posto da cui Sara prova spesso l’impulso di scappare, fuggire via per lasciarselo alle spalle una volta per tutte. Però ci ripensa sempre: è il luogo in cui è cresciuta, e a queste quattro strade asfaltate che l’estate torrida di quest’angolo di Puglia rende roventi e il gelo d’inverno tramuta in un manto rorido e fangoso Sara vuole bene, ci è affezionata, sono la sua casa.
È tranquilla, Sara, anche se da qualche tempo si porta appresso dei pensieri brutti. Dubbi che rannuvolano la sua spensieratezza, mettono in crisi le sue pallide certezze di adolescente.
Sara però è tranquilla, perché, anche se papà vive lontano col fratello per lavoro, ha un sacco di gente che le vuole bene attorno. La mamma, anzitutto, e il nonno, le amiche, qualche vicino; e poi c’è Sabrina, sua cugina adulta. Ventidue anni: anche lei volitiva, ironica e un po’ sovrappeso come l’altra, quella dei giornali, però questa Sabrina con quella là non ha niente a che spartire, perché pure lei non esiste. Ce la stiamo inventando noi per raccontare questa storia.
Sara e Sabrina stanno sempre insieme nonostante la differenza di età, e a Sara piace consumare il vuoto pneumatico delle serate di provincia assieme agli amici di Sabrina, tutti più grandi di lei, tutti con un sacco di cose da dire.
È tranquilla, Sara, ma c’è qualcosa che la turba. Da qualche tempo ha l’impressione che sua cugina le riservi sguardi un po’ troppo affilati, parole sferzanti che pungono, talvolta feriscono, e lei mica lo capisce bene, il perché di tanto veleno. Forse si tratta di Ivano, un ragazzo con la barba che somiglia tanto a quell’altro, quello vero, l’«Alain Delon di Avetrana», ma non importa, non ci interessa, perché questo Ivano noi ce lo stiamo solo immaginando. [continua qui]

14 commenti:

Clara ha detto...

Grazieee. Ti sto ascoltando. Grazie per questa Sara. Evviva l'accento terrone. (Ma non ce l'hai così forte).

Clara ha detto...

Mado', è stupenda! Mi sono venuti i brividi, e pure i lucciconi. Grazie

sartoris ha detto...

@Clara ma grazie, (me l'hanno un po' tagliato, il racconto, ma forse ci ha guadagnato:-)

PS ho visto che mi citi sempre nelle interviste in giro, ne sono lusingatissimo ;-)

Boh non so mah ha detto...

Bello il racconto, non proprio nei miei gusti, ma è sempre un piacere ascoltarti!
Complimenti per l'intervento.

sartoris ha detto...

@Eddy, mica possiamo sempre scrivere di zombie e serial-killer ;-)

(ti confesso che ho avuto la tentazione di affrontare l'argomento in chiave pulp, ma abito a 5 km da Avetrana e francamente ho sentito/subito il dolore/frustrazione dell'intera vicenda e penso non meritasse un tocco greve)

Clara ha detto...

@Omar: eccerto, gli scrittori italiani che mi piacciono li cito :-)

LUIGI BICCO ha detto...

Chissà perché mi ero fatto l'idea che tu avessi una voce tipo quella di James Cagney :D
E' vero. Il tuo accento terrone si sente appena, solo per chi è tanto attento e per chi ci è abituato. Per chi dalle tue parti ci è passato parecchie volte, insomma.

Appena riesco mi ascolto pure tutto il racconto.

sartoris ha detto...

@Luigi: grazie per la considerazione, Cagney è all'origine di praticamente tutto ciò che mi piace (ho visto da poco un documentario in cui persino Eastwood diceva che deve il suo essere un attore a James Cagney)

(vabe', per me poi Zio Clint è inarrivabile e duole parecchio il suo appoggio a Romney, ma questa è tutta un'altra storia:-)

Clara ha detto...

Zio Clint, che amo pure io, è pur sempre americano, eh?! ;-) Romney... aiutoooo

LUIGI BICCO ha detto...

Povero Clint. Tutta la storia dietro il suo marcescente appoggio al ridicolo Romney, è dovuta solo alla vecchiaia. C'è chi invecchia bene e chi male. Clint e proprio un po' vecchietto adesso. I suoi "Joe lo straniero", "il biondo" e "Callaghan" sono ormai alle spalle da parecchio. Ma Clint è Clint. Punto.

Anche se comunque, come dice anche Clara, sempre un americano rimane :)

Anonimo ha detto...

Molto toccante, ma l'accento ci sta tutto :)

Pippo

Anonimo ha detto...

Non ti ho ascoltato solo perché non ascolto la radio ma ho letto questo pezzo. Così tenero, così delicato. Quando dico che bisogna rispettare le parole, ecco un bell'esempio.
Fabio

Antonella Giuliano ha detto...

Almeno per una volta sono orgogliosa di essere manduriana! Complimenti!
Antonella

sartoris ha detto...

@Pippo: non sono un attore, recitare e leggere un pezzo richiede anni di studio e una dizione importante :-) comunque grazie!

@Luigi: Clint è Clint, il resto sta a zero!

@Fabio: perdili 4 minuti per ascoltarmi interamente, va' ;-)

@Antonella: grazie del sostegno e soprattutto di essere passata di qui, sono pochi i visitatori del blog miei conterranei e fa davvero piacere!!