domenica 20 maggio 2012

un Sud come questo...

Ora, mentre lo choc trascolora dolorosamente in un'indignazione slabbrata e i frammenti ancora fumanti di ciò che resta di una spensierata mattina di scuola impallinano le saracinesche e decorano i marciapiedi di un tranquillo quartiere periferico di Brindisi, sud-est di una Puglia che in troppi s’illudono ormai bonificata dalle propaggini verminose della criminalità organizzata, il vero pericolo è che anche quest'ennesima, insensata ferita inflitta a quest’angolo di Meridione venga ingurgitata dai soliti media affetti da smania d’approfondimento compulsivo per essere macinata e risputata sotto mille altre forme: un bolo di cogitazioni, analisi e prospettive socio-antropologiche che ci porterebbe altrove, troppo distanti, forse, da ciò che sin d'ora si può scorgere dietro la pleiade di sguardi attoniti e sconcertati che in queste ore ingombrano gli schermi televisivi di tutta la Penisola: siamo sotto assedio, lo siamo sempre stati, e non è più il momento di dilungarsi in vuote cosmogonie.
Che si trattasse delle efferatezze domestiche di Avetrana o delle faide tra clan malavitosi nel Gargano, delle ciminiere alla diossina del polo industriale di Taranto o del ritrovamento dei poveri corpi dei fratellini di Gravina di Puglia, il lungo braccio dell'informazione si è in questi anni adoperato - con malcelata morbosità - nell’allestimento di una narrazione che sovente non ha saputo (voluto) cogliere la complessità di questo Sud: un Sud che, nonostante la splendente patina à la page di cui rilucono alcune zone baciate dal successo turistico, sconta ancora un divario d’arretratezza incommensurabile con altre aree del Paese e che non a caso, mentre la buriana dei mercati economici di mezzo mondo rende vaga ogni certezza e manomette i cardini di tutto ciò che sino a oggi credevamo inattaccabile, si ritrova come in passato a prestare corpo e sangue alle contraddizioni di questa nostra malandata contemporaneità, mostrandoci senza filtri la gravità della situazione in cui l’intera Nazione sta precipitando, e quanto occorra fermarsi, tutti, per guardarci negli occhi e capire cosa fare.
Sono morti dei ragazzi, oggi.
Che la matrice del vile attentato sia d’origine mafiosa (anche se l’ipotesi sembra perdere di forza ora dopo ora), terroristica o semplicemente opera di un folle non è in fondo questione prioritaria.

Il fatto è che colpendo dei giovani si è voluto tranciare le gambe al futuro. Ma il futuro in una città come Brindisi - dilaniata dai fumi di un’industria petrolchimica arrembante e afflitta da un tasso di disoccupazione che mozza il fiato - è già da molto, troppo tempo una chimera ben lungi dalla portata di chi si affaccia all’età adulta, figli di un Nuovo Mezzogiorno giocoforza relegato ai margini di una periferia lontana mille miglia dai centri decisionali. Una distanza che l’ossessivo ripiegarsi sui vari facebook e twitter (come documentano le immagini prelevate dagli account delle vittime in queste ore) non rende meno abissale. Da queste parti, ancora oggi, la vita scorre lenta e priva di orizzonti, e se lo Stato ha saputo ostacolare con fermezza il traffico di armi, droga e sigarette che nel decennio scorso, mercé l’attracco portuale, ha fatto la fortuna della Sacra Corona Unita, non si può non registrare il fallimento delle istituzioni nel colmare l’immenso gap tra chi manovra i fili del gioco e chi resta ad aspettare, braccato dalla malapolitica e dal malaffare ma anche da un’atavica solitudine che forse è, in primo luogo, culturale: una brutta bestia che porta i ragazzi di quaggiù, ragazzi in gamba, volenterosi e pieni di vitalità, a indossare ogni giorno - loro malgrado - la medesima espressione attonita che oggi invade il televisore, costringendoci a pensare che dobbiamo vincere noi, dobbiamo diventare grandi noi per primi, per permettere a loro di farlo senza che qualcuno giunga a dispensare favori in cambio d’illegalità.             Omar Di Monopoli
[articolo uscito in versione ridotta oggi sul Corriere Nazionale]
(foto: dalla rete)

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Sottoscrivo con senso di smarrimento e fermezza insieme.
Fabio

Clara ha detto...

Grazie, Omar. Un abbraccio

Silvia ha detto...

Cosa possiamo fare tutti insieme
oltre ad addolorarci ? me lo sto chiedendo da ieri mattina.

sartoris ha detto...

No, addolorarsi non basta, credo... Dovremmo smetterla di lamentarci, forse, e farci carico di alcuni errori (almeno, questo è il mio proponimento personale). Discorso comunque articolato, e le emozioni sono ancora troppo confuse...

Annalisa ha detto...

Grazie per l'articolo.

sartoris ha detto...

@ dovere, Annalisa ;-(