domenica 18 marzo 2012

ego e follia tra le sbarre...

«I wanted always to be famous», sostiene il detenuto Michael Peterson in arte Bronson (come il più famoso Charles, mitico giustiziere della notte cui vagamente somiglia), e alla fine questo esaltato schizoide dall'ego in perenne espansione centra in pieno il suo bersaglio. Dalla cella del carcere in cui sta scontando il suo trentacinquesimo anno di detenzione - di cui buona parte in isolamento - il «prigioniero più famoso d’Inghilterra» è riuscito nel suo intento grazie a quel genietto di Nicolas Winding Refn che nel 2008, qualche tempo prima cioè che la stampa e i festival di tutto il globo terracqueo glorificassero il suo sorprendente Drive, l’ha consegnato alla storia della Settima Arte con un biopic selvaggio, ipnotico e terribile che tiene incollato allo schermo anche lo spettatore refrattario al filone prison-movie. Manipolando quindi materiale rigorosamente vero (fatevi un giro sul tubo dopo la visione del film, il vero «Bronson» è inquietante almeno quanto quello sullo schermo), il giovane cineasta danese adotta per il suo racconto soluzioni sperimentali  inconsuete, talvolta addirittura antinarrative, passando con abilità ammirevole - e una stilla di furbizia, va detto - dall’avanguardia più spudorata al pulp di conio classico. Refn viviseziona la biografia del pericoloso sociopatico in quadri giustapposti, esteticamente ineccepibili: ogni dettaglio della scenografia è meticolosamente collegato ai movimenti degli attori, così come la scelta dei colori segue con scrupolo quasi maniacale i dettami di un perfetto equilibrio cromatico.
Il colpo d'occhio complessivo è uno spettacolo che sovente incanta, soprattutto nelle scene in cui il protagonista Tom Hardy - davvero straordinario, se continua così (e continua così: vedere Inception, Warrior ma soprattutto lo aspettiamo nel ruolo di Bane nell'ultimo Batman) presto sarà una star di primo livello - mette in scena la tracotanza fuori controllo del suo narcisismo deviato. Film davvero coinvolgente, a tratti grottesco ma sempre perfettamente a registro, senza sbavature, per non parlare di una colonna sonora da sturbo capace di ospitare Verdi e i Pet Shop Boys con una naturalezza sorprendente. Chissà perché agli amici di Sentieri Selvaggi il regista continua a non convincere. A noi il film ha ricordato tanto pure questo.

2 commenti:

Boh non so mah ha detto...

Di refn ho visto solo valhalla e devo dire che mi è piaciuto parecchio.
Questo bronson ce l'ho in lista da una vita ma non l'ho mai c....o. Adesso che leggo l'n-esima recensione positiva, mi sa che stavolta ci casco dentro a piedi pari!

Anonimo ha detto...

@eddy carissimo, Refn non piace a tutti, leggo che in tanti lo ritengono sopravvalutato e perfettino, ma personalmente lo adoro. (Al nst comune amico Midian ad esempio Valhalla ha fauup cadere i maroni - e oggettivamente ha dei momenti letali - ma io ci trovo un senso cinematografico molto moderno) vabe' vediti 'sto Bronson e dimmi un po' ;-)

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