domenica 13 novembre 2011

la foresta lirica del Maestro...

La grande foresta (prima ed. 1955) raccoglie quattro racconti di caccia di cui L'orso è il più celebre, oltre che il più rimaneggiato (ne esistono tre versioni), ma di fatto compongono un unico, indimenticabile affresco. Con la sua consueta e lussureggiante lingua biblica - una voce il cui pathos ha nutrito schiere di scrittori a venire -, Faulkner narra il cronico sfaldarsi di un mondo arcaico, composto di antichi cerimoniali e ieratici silenzi, e della sua sostituzione con un sistema moderno consacrato senza freno alle voraci grinfie di Mammona. Il valore che questo progresso scellerato sta divorando è, nelle pagine eminentemente liriche del più grande autore southern degli USA, rappresentato dal rapporto profondo tra uomo e ciò che sta fuori da lui, quel quid che fa della foresta un santuario dove la caccia diventa un rito che lo avvicina alla natura selvaggia, comprendendo in essa i suoi limiti terreni. La foresta e i suoi abitanti sono un corpo unico, una entità dalla incredibile forza simbolica che raggruppa al suo interno gli indiani Chickasaw - i cacciatori per eccellenza - e i bianchi loro ultimi eredi. Questi, di cui il vecchio Ike McCaslin è l'estremo superstite (è il fanciullo de L'orso), sono la progenie destinata a cedere il passo ai nuovi cacciatori, barbari senza regole che occuperanno la foresta dopo che il disboscamento (inteso come «progresso» che avanza inesorabile) ne avrà intaccato le esili vestigia di mestosità. Ike è quindi l'occidentale figlio d'un tempo ormai andato, che vive le leggi della natura in maniera totale: i compagni di caccia, gli animali da preda, la lotta, la morte, lo scintillante ombrello di vegetazione che tutto avvolge, rappresentano il suo primordiale universo: uccidere un cervo o un orso diventa anzitutto atto d'affermazione della nobiltà della stessa vittima e non semplice occasione di morte gratuita. La tragica consapevolezza della condizione decaduta dell'uomo resta solo nei ricordi custoditi dalla sua memoria (una delle cose più alte che la penna di Faulkner abbia mai vergato),  «La natura e i campi che saccheggia e la selvaggina che devasta saranno la conseguenza e la firma del suo delitto e della sua colpa, e la sua punizione», e solo attraverso di essi è possibile un barlume, infinitesimale eppure necessario, di redenzione. Memorabile, monumentale, senza parole...

La grande foresta
William Faulkner (Adelphi)

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