sabato 22 ottobre 2011

Lauriola su conaltrimezzi...

«Quando, da ragazzo, trascorrevo intere giornate a vagare per le vie di una piccola cittadina sul Gargano, o scampagnavo nei suoi dintorni, soffrivo spesso la distorsione percettiva dell’appassionato di cinema e di letteratura: quei luoghi, così mediterranei, sembravano set di storie d’oltreoceano che potevano, all’occasione, risultare buoni per sceneggiature di gangster anni ’30, di serie alla Dukes of Hazzard o di satire demenziali in stile South Park. Perché nei paesi - nel Meridione, forse, con maggior evidenza che altrove - gli stereotipi si incarnano in veri e propri archetipi confinando molte persone in strutture da personaggio. Omar Di Monopoli ne ha fatto un’arte con una trilogia pubblicata da Isbn: Uomini e cani (2007), Ferro e fuoco (2008) e La legge di Fonzi (2010). Tre storie, tutte ambientate nel tacco speronato dello Stivale, accomunate da uno stile unico suggerito dagli stilemi di una prospettiva di genere, lo spaghetti-western. La legge di Fonzi, ultimo romanzo dell’autore pugliese, è una pellicola sovresposta da godere nella pace di un cinema di paese. Ci si guardi bene, però, dal tradimento di banali aspettative perché il suo linguaggio è d’essai. Un campo lungo sulla campagna pugliese tra Taranto e Brindisi introduce il lettore nell’atmosfera da prateria di un territorio arso, brullo ma animato dai suoni poco distanti delle numerose strade che uniscono i due capoluoghi. Quando il rumore penetrante di uno scooter infrange il silenzio, il campo si restringe mentre il centauro entra scena. Stacco. Sullo sfondo di un rudere industriale, le gambe del ragazzo tengono ferma una tanica di benzina davanti al sellone. Bestemmie, sigaretta e attesa. Poi arriva il socio. Pisso, il primo, e Giordano, il compare, sono due giovani ladri d’auto che tra loro si chiamano camerati e lavorano per Skùppetta, il capo della malavita locale, sfasciacarrozze violento e accanito amatore di film porno che vive in una roulotte fatiscente tra le carcasse dei veicoli. È cugino di Nando Pentecoste, il vecchio boss da tutti conosciuto come Manicomio, che sta scontando cinque anni di reclusione per l’omicidio di un ispettore di Bari. Questi, dicono le voci, aveva espresso apprezzamenti poco consoni alla compagna di Manicomio - una formosa cartomante rimasta sola col figlio dopo la fuga del marito in Germania - ma era in paese per i lavori di costruzione del nuovo santuario dell’Opera di Santa Brigida. Su un terreno donato dal comune, la fabbrica aveva destato le polemiche di tanta stampa locale per la sua vicinanza con la falda acquifera e la coincidenza di riflussi melmosi nelle zone limitrofe, con particolare danno per l’abitazione di una vecchia e suo cognato...»
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