mercoledì 7 maggio 2014

non guardarmi non ti vedo...

Pubblicato in Italia più di dieci anni orsono e ristampato di recente da Feltrinelli a seguito della frattura che l'autore Premio Nobel ebbe con la Einaudi prima di morire, Cecità è una allegoria - ficcante e riuscitissima - sulla incapacità dell’uomo moderno di comprendere (vedere) il proprio orizzonte. L'avvio è decisamente in medias res: tutt'un tratto, nel bel mezzo del traffico cittadino, un uomo non ci vede più, proprio mentre sta fissando il simbolo contemporaneo della stasi: un semaforo rosso. Ma non si tratta d'una cecità convenzionale, non quella, almeno, comunemente scandagliata dalla letteratura medica, bensì d'una anomala cecità bianca, qualcosa di tremendo e abbagliante, «come trovarsi immersi in un mare di latte». Ben presto si scoprirà che quest'insolita patologia è contagiosa. Senza possibilità di scampo, a poco a poco tutti gli abitanti della nazione (quale? il libro rimane volutamente sul vago) vengono colpiti da questa disgrazia. All’inizio i contaminati sono rinchiusi in un ex-sanatorio mentale; ed è in questo microambiente che l'autore scoperchia le psicologie dei protagonisti, snudandone virtù e miserie. Miserie che scavano nel torbido, ma la situazione detona ogni norma sociale mettendo tutti contro tutti. Cecità da questo punto si richiama a modelli oramai classici di rappresentazione di comunità «chiuse» come Il signore delle Mosche, spingendo però in maniera efficace sul pedale dell'angoscia. L'evolversi della vicenda si colora così del putridume degli escrementi e la lotta per la sopravvivenza assurge a leitmotiv della storia; fame e morte scandiscono il lento fluire del tempo: l'esatta parafrasi della condizione in cui versa quotidianamente una cospicua porzione della popolazione mondiale.
In questa strepitosa parabola dell'esistenza umana c’è anche chi ha l'ardire di non sottostare alle regole. È la moglie dell’oculista che ha visitato il primo uomo colpito dal «mal bianco» (interpretata da Julianne Moore nell'ottimo film omonimo). Questa trasgressione al diktat imposto dalle autorità finisce per conferire alla donna il ruolo di Messia: diventa colei che vede ciò che gli altri non riescono vedere. I ciechi possono commettere atrocità o semplici scorrettezze senza provarne rimorso. Il fatto di non avere un’immagine impressa nella mente del gesto compiuto finisce per azzerarne il portato morale, rendendolo una semplice proiezione mentale. O una fantasia. Poi salta tutto. Il caos irrompe feroce a scombinare il precario equilibrio quando anche i militari che sorvegliavano il manicomio diventano ciechi: i reclusi troveranno agilmente la via verso la libertà. Ma la società si va riorganizzando secondo nuovi bisogni. Si vagola in piccoli branchi alla perenne ricerca di cibo, razzolando ondivaghi e persi per la città, dormendo ogni notte in posti diversi. Solo il gruppo guidato dalla moglie-vedente è in grado di ritrovare il tragitto verso casa. Chi, in una metropoli odierna, sarebbe in grado di riconoscere a occhi chiusi la propria strada, il proprio portone? Lo stesso concetto di «proprietà» viene sconquassato, reso mutilo dal deficit di messa a fuoco. E ogni regola di coesione civile si azzera: l'umanità diventa un coacervo di zombie senza meta.
Più che un resoconto, il libro assume pertanto i contorni di un vero e proprio trattato («ensaio», dal portoghese, infatti può essere tradotto così, o anche: saggio). Pagine monolitiche, avarissime di paragrafi e ancor più di «a capo». La punteggiatura utilizzata ai minimi termini: punti, virgole, periodi lunghissimi e dialoghi scarni non segnati (a riprova che il grande Cormac McCarthy non è il solo a eliminare le virgolette dal discorso diretto). A chiudere il cerchio un abbozzo di auto-fiction davvero memorabile: quando cioè si arriva a incontrare alla fine del libro l’alter-ego di Josè Saramago: uno scrittore cieco. E come scrive uno scrittore cieco che non conosce il braille? Per vedere basta togliersi le bende che non ci accorgiamo di avere sugli occhi. Partendo da una traccia riferibile nelle coordinate d'insieme al puro «catastrofismo da morbo» (alla Contagion, per dirne una) Cecità è lo strepitoso esempio di come un grande scrittore possa manipolare a proprio piacimento il genere per portarlo in alto. Molto in alto.

Cecità - José Saramago (Feltrinelli)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ne avevamo già parlato, sul blog, di questo capolavoro, vero?
(Pippo)

sartoris ha detto...

Si Pippo. Ammetto di rimaneggiare spesso post vecchi quando, come oggi, non ho tempo per il blog. Però scelgo pezzi poco frequentati, giuro, e li aggiorno sempre :-))