domenica 4 settembre 2011

la rivoluzione al cinema...

Da anni si discute attorno all'eccessivo minimalismo delle storie italiane sul Grande Schermo. C'era in rete recentemente chi sosteneva che i registi italiani non riescono a capire che un film deve essere «figo» [sic!] per poter competere coi blockbuster americani ma anche con quanto di buono arriva da altrove (Francia, U.K. e Spagna in primis). Pellicole come il resto di niente (2005) sono la riprova che esiste (o è esistita) in Italia una caparbia e meritevolissima volontà di battere vie nuove, magari non commerciali ma decisamente vitali e degne di ammirazione. Il film in questione prende avvio dal libro omonimo, amatissimo a Napoli e dintorni e che ebbe un parto difficile diventando un vero longseller grazie proprio all'attenzione dei lettori. Rappresenta il viaggio nell'anima della marchesa Eleonora Pimentel De Fonseca, protagonista esemplare (assieme a un manipoli di aristocratici sognatori) di quel breve periodo rivoluzionario che infiammò il Meridione passato alla storia come la «Repubblica Napoletana». Frutto di una lunga gestazione produttiva e realizzativa (più di sette anni di lavoro tenace), il lungometraggio firmato dalla brava cineasta Antonietta De Lillo è un'opera coraggiosa, che reinventa in maniera lucida il racconto storico e mescola attitudine teatrale a inquadrature di grande respiro evocativo, grazie anche alla glaciale e distaccata recitazione dell'interprete principale Maria de Medeiros; l'ispirazione letteraria la rende forse un prodotto qua e là troppo "dialogato" ma resta, durante la visione, una sensazione di grande fisicità scenografica (interni, luci drammatiche, tensione dilatata, cartoni in sovrimpressione a mo' di scenografie mobili) che richiama fortemente la poetica di grandi registi come De Oliveira. La regista partenopea spezzetta e scarnifica gli episodi e i personaggi che li abitano nel tentativo (riuscitissimo) di catturare le corrispondenze tra i meandri della Storia ufficiale e quelli dell’esistenza della protagonista, che, nell’ora della morte sospesa - quando appunto non c’è più «il resto di niente» da fare - rivede la propria vita e ce la mostra nella fosca cornice di un Settecento lurido e rancoroso, un'epoca che nasconde sotto i belletti e le parrucche incolte tutta la miseria morale di un regime talmente vetusto da risultare paurosamente attuale. Percorrendo le vicende personali della marchesa, intellettuale d'origine portoghese dall'esistenza costellata di amori infelici e passione politica (fu animatrice de Il monitore napoletano, "organo" ufficiale dei moti liberali partenopei), si comprende come la disuguaglianza e l’infelicità (dei popoli ma anche dei destini individuali) non si sconfigge con violente repressioni o repentini blitz: ma attraverso l’opera lenta e infaticabile dell’istruzione, della solidarietà e dell’arte: uniche armi contro tutte le tirannidi. Il resto di niente è una prova magari imperfetta (anche suo malgrado: è infatti necessaria almeno un'infarinatura dei molteplici eventi che caratterizzarono il periodo), ma a tal punto ostinata e originale (anche nelle scelte di montaggio, davvero inusitate per il nostro panorama cinematografico) da meritarsi una riscoperta e tutto l'affetto e il plauso che all'epoca dell'uscita vollero tributargli solo i circuiti dei premi nostrani e internazionali (per fortuna numerosissimi).

8 commenti:

Anonimo ha detto...

il problema è che un film così in sala non corre nessuno a vederlo, perché le masse italiche han bisogno di Bisio e i cinepanettoni!!!!

sartoris ha detto...

...Ma anche quando c'era Totò la massa disdegnava i Pasolini e i Rossellini, però all'epoca l'offerta era oggettivamente molteplice e uno poteva scegliere: esistevano i film popolari e quelli d'autore. I primi in qualche maniera finanziavano i secondi, e i media (carta stampata e tv delle origini) non si vergognavano di promuovere tanto Fellini quanto Macario. Oggi? Dopo Bisio c'è Zalone, e basta!!! (con tutto che entrambi mi stanno simpatici)

Annalisa ha detto...

Ma il film si trova in rete, e lo sto aspettando.
L'unico problema è che, tra gli ultimi acquisti librari al 40% di sconto che stanno arrivando [*], e questi due ultimi (libro e film su ebay) e il marito a casa in ferie che osserva i pacchi che arrivano... dovrò davvero scrivere un sanguinosissimo finale di questa estate... Ovviamente, citando al maritino la fonte primaria di questi impulsi cultural-spenderecci

[*] Vallant è una soddisfazione solo a vederne tutte quelle pagine lì davanti :-)

sartoris ha detto...

@ dura la vita di noi appassionati, cara Annalisa :-)

(poi fammi sapere se ti piace. Il film dico, non Vallant)

Alessandro PG ha detto...

Mi inserisco solo xché ho conosciuto Antonietta De Lillo quando è venuta a PG, in una arena estiva entusiasta, per la proiezione del suo film (quella volta feci da autista, oltre che pseudorganizzatore dell'evento). La situazione del cinema italiano è stata quella descritta da Omar: una volta era davvero un'industria che sfornava 400 pellicole all'anno (contro le 20-30 di oggi, e per di più spesso pessime), potendo così permettersi sia Macario, sia Visconti, in un discorso di reciproco e inverso finanziamento. Oggi non esiste più nulla, né, chi riesce a fare un film, può "sbagliarlo" o "non fare cassetta". In più, il vero dramma è legato alla distribuzione, il vero regista occulto che decide le sorti di un film, in molti casi spacciato a priori, come è successo per il film della De Lillo: ha raccontato che il distributore, dopo che lei ha lavorato circa cinque anni al film con traversie economiche incredibili, aveva deciso di fare uscire il film in 7 copie! Sette copie per tutto il territorio nazionale! Praticamente il film era sepolto prima ancora di nascere! Dopodiché lei si è battuta giustamente in difesa del suo intelligente lavoro ed era riuscita, se non sbaglio, a far distribuire il film in una ventina (forse quasi trenta) copie. Comunque sempre cifre ridicole rispetto al cinepanettone che esce in oltre 400 copie (che incassa per forza, c'è solo quello ed è ovunque). Infine la De Lillo ha avuto "la fortuna" di fare uscire il film in edicola, come allegato di qualcosa, questo sempre qualche anno fa.

sartoris ha detto...

@Alessandro, sei uomo di mille sorprese: nei panni di autista della De Lillo non ti avrei mai immaginato :-)

(lieto tu l'abbia conosciuta, mi sembra - dalle interviste rilasciate - persona assai intensa e cazzuta, oltre che preparata)

Annalisa ha detto...

Rileggo la recensione e condivido in toto (per quanto io non abbia trovato 'glaciale' la Medeiros, anzi), mi sono piaciute le scelte di scenografia, l'alternanza passato e presente, il rapporto con la serva Graziella e altre cose ancora.
Però.
Per quanto certo questo film non aspiri a essere un blockbuster è comunque destinato a un pubblico, e l'osservazione finale che fai ("è infatti necessaria almeno un'infarinatura dei molteplici eventi che caratterizzarono il periodo) è tanto vera quanto forse troppo lieve. Ci vuole assai più di un'infarinatura, secondo me. Parlo da insegnante e da appassionata di storia: a volte ho fatto fatica a comprendere chi parlava di cosa, in che periodo si era, chi erano i personaggi che intervenivano.
Si riesce a seguire ugualmente? Sì, probabilmente (me ne rendo conto adesso) avrei potuto abbandonarmi e cercare di lasciarmi andare alla storia individuale, e avrei goduto di un bel film ugualmente. Ma non ce l'ho fatta: cercavo di capire, e a volte ho faticato.
E' un limite del film? Secondo me, sì, se il film era rivolto anche a me. Non che stia dicendo che non voglio faticare (quando guardo un film o quando leggo un libro), ma credo che la fatica debba essere in qualche modo indirizzata e ricompensata.
Bel film, sì, ma non del tutto. Ora mi leggo il libro.

(scusa il commento luuungo)

sartoris ha detto...

@Annalisa: hai ragione ma quel periodo - che io invece conosco molto bene perché sono appassionato della fase pre-unità d'Italia - è davvero costellato di eventi e fazioni e episodi che non si potevano eludere, né semplificare ulteriormente, poiché sarebbe come censurare le mille voci contraddittorie che popolarono quel momento particolarissimo: pertanto l'operazione della De Lillo è doppiamente titanica, secondo me!!!