mercoledì 13 ottobre 2010

Autostop per l'inferno...

Jim Halsey è in viaggio per portare un'automobile da Chigaco a San Diego. La strada è deserta e interminabile e il ragazzo, sotto una pioggia torrenziale che ottunde la notte, incontra un autostoppista cui decide di offrire un passaggio. L'uomo si presenterà come John Ryder e, senza troppi convenevoli, rivelerà placidamente di essere un assassino:
«...è quello che ha detto anche l'altro...»
«Quale altro?»
«Quello che mi ha dato un passaggio prima di te, ma non poteva arrivare lontano...»
«E perchè?»
«Perchè gli ho tagliato le gambe, le braccia... e la testa. E adesso farò altrettanto con te!»
Comincia così uno dei thriller seminali degli anni '80, quel The Hitcher dal quale Dave Meyers ha tratto nel 2007 un indegno remake con Sean Bean. Il primo film, l'originale del 1986, era opera di Robert Harmon (già cameraman e direttore della fotografia d'indubbio talento) e riprendeva lo spunto di un suo cortometraggio intitolato China Lake per trasformarlo in una splendida metafora on the road sulla consapevolezza dell'uomo. Cult assoluto di quegli anni, il film offre sicuramente la migliore interpretazione di Rutger Hauer cui da quel momento nessun altro ruolo farà più risplendere per intero le capacità attoriali (a parte - of course - quello dell’androide Roy Batty in Blade Runner). Lo spettatore si ritrova quindi ad accompagnare in medias res questo feroce serial-killer nel suo terribile viaggio (auto)distruttivo, constatando quanto la missione di questo inflessibile omicida sembri non tanto - o non solo - seminare la propria mortale scia di sangue lungo il suo tragitto ma piuttosto finisca per ossessionare uno sconosciuto qualsiasi (il giovane Jim dell'incipit, appunto) che ha avuto la malasorte di incrociarne il destino. Il tema del lungometraggio vira perciò surrettiziamente verso significati «altri», tramutandosi in un lucido, maniacale indottrinamento all'orrore da parte del killer nei confronti del ragazzo, e ciò avviene per mezzo di una violenza cui non si può non intravedere un monito nei riguardi di una società sempre più indifferente (non dimentichiamo che erano gli edonistici eighties): pertanto, come gli anni a venire confermarono senza tema di smentita, John Ryder diventa l'epitome di un'umanità malata composta dai tanti figli malati (assassini, psicopatici, reduci pazzi di uno dei molteplici conflitti senza più direzione) che l’America (l'occidente?) tiene nascosti in soffitta.
Attori tutti in ruolo sui quali furoreggia ovviamente Hauer - ma la sua porca figura la fà anche la brava Jennifer Jason Leight in uno dei suoi primi ruoli importanti. Jim è interpretato da Thomas Howell, la cui altalenante carriera annovera anche un trascurabile seguito di questo film. È ormai negli annali la scena in cui Jim trova un dito umano fra le patate fritte oppure quella in cui viene superato da un'automobile in cui due bambini lo salutano e dietro di essi l'assassino appare sorridente che fa finta di sparargli. (Harmon, tornato recentemente con Highwaymen, ha tentato di ridestare il genere con risultati non malvagi seppur lontani anni luce da quelli dell’86). The Hitcher rimane un caposaldo del genere e, obiettivamente, un film rozzo e avvincente come di rado se ne vedono oggi.

5 commenti:

barbara ha detto...

Fantastico Hauer lo adoro! Vederlo quando hai 8 anni è un'esperienza terrificante!

sartoris ha detto...

Non so se ti è capitato di vederlo da Chiambretti l'altra notte, è ancora luciferino come una volta (solo un po' imbolsito, ma dopotutto ha settant'anni:-)

barbara ha detto...

Certo che l'ho visto! Però non sopporto chiambretti per me è un cretino patentato..Rutger in compenso è sempre strafigo e magnetico come pochi..

sartoris ha detto...

convengo su Chiambretti (una volta mi sembrava in gamba, devo dire che ultimamente si è rincoglionito assai:-)

barbara ha detto...

Lo detesto da quando ho visto una sua intervista alla cara e indimenticabile Alda Merini..ti giuro sarei saltata dentro al televisore per portarmela via...