domenica 3 novembre 2013

Le invenzioni di Glavinic...

Si deve alla migliore fantascienza di matrice catastrofista l’idea di un essere umano rimasto completamente solo sul pianeta, uno spunto semplice e lineare che in pochi rapidi passaggi è assurto a vero e proprio topos letterario grazie anche alle molteplici possibilità di declinazione.
Se infatti autori come Richard Matheson e Ray Bradbury possono a tutto diritto venirne considerati gli antesignani (il primo con Io sono leggenda e il secondo con alcuni racconti della raccolta Tangerine), sono oltremodo numerosi gli esempi di variazione sul tema che negli ultimi decenni ci ha offerto la narrativa (di genere e no: perfino l’ultimo McCarthy, generalmente legato a una visione western - e quindi decisamente ‘terrigna’ - della letteratura, con il recente La Strada ha lavorato sul canone derivativo portando all’eccesso la propria personale rappresentazione del Male immaginando un’apocalisse ecologica che condanna alla solitudine i pochi scampati). Non andrebbe poi dimenticata la considerevole fetta di cinema (quello horror in particolare) che in numerose occasioni ha saputo trarre linfa vitale da questa idea per riformulare i propri codici (La notte dei morti viventi in testa, ma è di pochi anni fa il francese Il tempo dei lupi, praticamente sullo stessa tema), così come certa televisione degli anni sessanta e settanta (chi non ricorda l’inquietante serie britannica I sopravvissuti, per non parlare d’alcuni episodi di Ai confini della realtà?) sino al fenomeno odierno di The Walking Dead.
Tutto questo per dire quanto oggi possa risultare difficoltoso riuscire a dire qualcosa di davvero originale partendo da un assunto di tale, sfruttatissima connotazione. Eppure Thomas Glavinic, scrittore enfant-prodige austriaco, acclamatissimo in patria, con questo romanzo centra il bersaglio raccontando una storia che tiene incollati per più di trecento pagine, senza cedimenti strutturali né scivoloni stilistici. E regalandoci in più un romanzo che non solo farà la gioia degli amanti del brivido puro, ma anche quella di chi si aspetta qualcosa in più dalla letteratura (non risposte, naturalmente, ma domande, quelle sì: domande vere e lancinanti). La storia è presto riassunta: in un mattino di luglio, il protagonista Jonas si sveglia nella sua casa di Vienna. Dopo il solito caffé scopre che la televisione non funziona, internet non va, il giornale non gli è stato consegnato, e il telefono della sua fidanzata continua a suonare a vuoto. Perplesso, esce per andare al lavoro, ma dopo qualche passo si rende conto che c'è un silenzio innaturale, e si accorge di essere l'unico per strada. Uomini e animali sono scomparsi dalla faccia della Terra, come se durante la notte si fossero volatilizzati. Unica presenza reale del romanzo, gli oggetti fisici sembrano trasformarsi in rettili freddi che lo osservano, silenziosi e immobili, una minaccia che percorre il romanzo con una violenza sottile, mai sopita. E mentre la paura di essere solo si trasforma nella paranoia di non esserlo, i sogni del protagonista travalicano la realtà, si mescolano ai ricordi, e Jonas comincia a dubitare della propria mente, risucchiato in un vortice di delirio e disperazione.
Quello che davvero fa la forza di questo romanzo è la lenta ma inarrestabile deriva esistenzialista, il perturbamento che accompagna la lettura delle vicende di questo triste personaggio che da uomo medio diventa in una notte l’unico uomo possibile, e assieme a questa amara consapevolezza giunge a tramortirlo l’esatta percezione della propria pochezza, della propria inutilità (che forse era palese anche nella vita precedente, quando ancora il mondo era popolato di suoi specchi reali).
Un paio di considerazioni andrebbero fatte sui luoghi: per la prima volta una storia che potremmo immaginarci senza problemi sul grande schermo è ambientata entro paesaggi conosciuti, nei confini di una visione europea (non solo Vienna ha un’architettura che in molte parti ricorda quelle di alcune città del nostro nord, ma il protagonista accenna spesso alle proprie vacanze italiane) che facilitano non poco un’immedesimazione immediata: siamo noi quelli che vagano per le lugubri strade deserte della città, siamo noi che cominciamo a registrarci con una videocamera durante il sonno per scoprire (ed è davvero terrificante!) che la notte diciamo, facciamo cose assurde di cui al mattino non serbiamo alcun ricordo. E siamo noi, ancora, che ogni giorno ci affacciamo su un baratro chiedendoci la ragione di tutta questa (insensata? Atroce?) sofferenza.
Le invenzioni della notte - Thomas Glavinic (Longanesi)

5 commenti:

LUIGI BICCO ha detto...

Ma dove li becchi, 'sti libri?
A parte tutto, anche se ormai abusatissimo, il tema mi è molto caro. Sin da quando, da ragazzetto, ho letto il romanzo di Matheson e visto il film di Ragona con Vincent Price (qui su youtube c'è il film completo). Ho sempre cercato di immaginare come potrebbe funzionare una storia simile, senza ricalcare quello (tanto) che è già stato detto. E' ben dura, va.
Mi sa che un occhio a Glavinic glielo do volentieri.

sartoris ha detto...

eh, caro mio, di Ubaldo Ragona comprai il dvd originale più di dieci anni fa (era pre-torrent!) e quindi conosco a memoria anche le differenze tra versione americana e quella italiana (ce ne erano numerose, sapevi che era girato a Roma vero?)

Il libro secondo me è molto bello, ovviamente il tema ha millemila variazioni (ad esempio STAKELAND, bel film indipendente che Rai4 dà spesso in replica)

Anonimo ha detto...

be', non ci dimentichiamo allora Resident Evil e World War Z, recenti esempi iperbolici e pompatissimi dello stesso schema!

(pippo)

Annalisa ha detto...

Davvero, tra enfant prodige e ambientazioni vicine, il tema, il titolo e la recensione spingono di nuovo a una lettura, anche in questi settimane odiosamente frenetiche.

sartoris ha detto...

@Pippo: di film (e romanzi) ce ne sono a bizzeffe, basti pensare ai mille lungometraggi sul tema targati Asylium ;-)

@Annalisa: l'avevi già letto, vero? Ricordo forse ne parlammo su questo blog (o qualcosa di simile)